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di Pino Cabras.
Contestualizziamo tutto, incluso il caso Fedez. In cointeressenza con la moglie Ferragni, Fedez regge una fiorente attività imprenditoriale nel campo editoriale-pubblicitario legato alle multinazionali statunitensi che hanno perimetrato il web all’interno dei grandi recinti dei social network. È un capitano d’industria diversissimo da chi poteva fregiarsi di questa definizione trent’anni fa in Italia, nel mondo ancora legato all’industria novecentesca. Se non vi distraete pensando che i suoi tatuaggi e le sue costose smandrappature siano l’antitesi dello stile dei vecchi protagonisti del capitalismo, vi accorgerete che Federico Leonardo Lucia incarna il grande borghese di oggi, l’uomo di potere di questo neocapitalismo con le sue regole, le sue battaglie per definire con urgenza un nuovo senso comune, le nuove egemonie, lo stato spirituale di un’intera nazione.
È eccessivo tutto questo per un rapper? Voi vi fermate a una fase troppo precoce degli uomini di potere. Vedete Rocco Casalino eterno concorrente del Grande Fratello, ma intanto diventa uno degli ‘spin doctor’ più sulfurei in grado di tenere in pugno partiti e governi. Vedete Luigi di Maio a vendere per sempre le bibite gassate allo stadio, ma intanto vi ha riorganizzato con acrobazie democristiane un pezzo dei piani alti della politica italiana. Vedete Fedez nei secoli dei secoli come il mediocre rapper dei furbi luoghi comuni finto-trasgressivi, ma nel frattempo ha più follower della somma di tutti i principali organi di stampa nazionali e divora grossi contratti pubblicitari.
Quando qualcuno accumula un significativo potere economico e mediatico per ciò stesso deve poter essere soggetto a una critica del potere. Nessun suo atto pubblico potrà essere esente da scrutinio, con lo stesso spessore che si dovrebbe usare per analizzare le strategie di un’impresa. Fedez, il grande borghese dell’oggi, è in quest’orbita e non farà eccezione. Nessuno dei suoi atti è il solo atto di un artista. È una forte proiezione imprenditoriale e politica.
La sua manovra di questi giorni è l’operazione mediatica di un uomo di potere con elevata influenza di “agenda setting”: cioè la potestà di dettare l’ordine del giorno nella gerarchia delle notizie. È un mondo nuovo che coincide con il trionfo dei nuovi media che hanno il cuore nella Silicon Valley e il portafogli a Wall Street. Fedez ha perciò avuto partita facile contro i mediocri funzionari del carrozzone RAI in una fase crepuscolare della storia della tv pubblica. Qualche anno fa Renzi fece nominare per la RAI un consiglio di amministrazione composto da portaborse e incompetenti sottogovernativi, proprio mentre stava per abbattersi sul sistema audiovisivo il ciclone Netflix, di cui non sapevano nulla. Le cose sono peggiorate nel tempo.
La Rai era sino a poco fa un universo attardato, dove la politica comandava la televisione, quella televisione si imponeva sul mondo dello spettacolo, e si lavorava solo se si obbediva a quella catena. I dirigenti Rai che erano fermi a quel mondo e ancora oggi non sanno cosa sia davvero Netflix. Lo spiega meglio di me Piero Armenti:
«Quando hanno chiamato Fedez dovevano tenere a mente che dall’altra parte della cornetta non c’era un artista desideroso di visibilità, ma una “media company” potente quanto la Rai stessa. Perché questo è il punto cruciale su cui bisogna focalizzare la riflessione. “Fedez è un mass media”. Non ha bisogno della TV, non ha bisogno della Rai, non ha bisogno di Mediaset o di Berlusconi. Non ha bisogno di nessuno perché il Mass Media è lui. Se lo vogliono, detta lui le condizioni, figlio com’è di una rivoluzione della comunicazione pari alla stampa di Gutenberg, che ha creato un vero e proprio ribaltamento di potere.
Fedez ha un suo pubblico coltivato bypassando l’Italia e le sue logiche di dominio e di controllo, soprattutto politiche. Usa Instagram e Youtube per veicolare il suo messaggio, se vuole fare qualcosa di televisivo può farlo su Amazon Prime o Netflix, tutte aziende americane che non subiscono alcun ricatto dalla politica italiana perché sono più grandi della politica stessa, e dettano a loro volta le condizioni.»
In un paese dove si censura tantissimo in tutto lo spettro dei media senza che nessuno alzi un dito, Fedez ha avuto agio a maramaldeggiare su una miseria moribonda come le “moral suasion” (neanche più censura, attenzione) dei funzionari RAI. La telefonata che Fedez ha pubblicato è piena di evidenti e numerosi tagli che lo fanno strategicamente giganteggiare al cospetto delle titubanze dei funzionari, che potrebbero essere state magari più argomentate rispetto ai mugugni irresoluti che il noto imprenditore ha salvato dal taglia e cuci. Edgar Hoover, l’immarcescibile direttore dell’FBI, diceva: “fate parlare qualcuno per mezzora e se vogliamo gli cuciamo una confessione di omicidio”. Fedez, più modestamente, è stato capace di trascinare tutti nel suo gioco e a impiegare le tecniche dell’indignazione a comando, su cui cadono perfino molti dei più smaliziati. Lo “spin” prendeva direzioni precise.
Il politico leghista citato da Fedez era stato espulso dalla Lega per le sue posizioni. Ed è sotto processo in base alle leggi vigenti. Tener conto di questo è necessario non per alleggerire la Lega, ma per una questione di verità. Quanto alla verità, sarei curioso di sentire la registrazione completa, non quella tagliata da Fedez.
I funzionari Rai non sono dei cuor di leone e se c’è chi può sollevare questioni che possono causare querele scelgono sempre di dissuaderlo. Immagino sia accaduto anche stavolta, più in termini di responsabilità penale e di opportunità politica, che di censura vera e propria (che di fatto non ha più la forza di un tempo). Fedez ha ingrandito e polarizzato l’episodio, soprattutto per creare un senso comune blindato sull’argomento che più poteva insinuarsi nelle divisioni della politica, il controverso disegno di legge Zan, sul quale non tutto può ridursi a scontri destra-sinistra, perché esiste un dibattito molto più aperto anche nel mondo Lgbtq+, così come nel femminismo storico. Mondi che non vogliono ridurre tutto al ritmo di Tik Tok e che manifestano enormi preoccupazioni sulle potenziali minacce alla libertà di opinione insite nelle nuove fattispecie del disegno di legge. Questioni vere, non riducibili all’omofobia. Queste posizioni e queste questioni, anche quando sono lontane dalla nostra sensibilità, hanno cittadinanza in una democrazia.
Sempre Armenti ricorda: «il gesto di Fedez non è un atto di coraggio, ma è un richiamo alla realtà. L’artista ha rischiato zero perché il suo mondo non è quello antico: non ha bisogno della Tv italiana e men che meno quella pubblica. Non ci troviamo dinanzi ad un Davide che ha sfidato Golia, ma davanti ad un Golia che ha sfidato un altro Golia, ed ha vinto. Fedez non ha avuto coraggio nel senso tradizionale del termine, ma ha fatto un qualcosa di possibilissimo e consequenziale: ha ricordato che il potere è lui. Punto.»
Così, Fedez, il testimonial pubblicitario di Amazon, il profeta che dà smalto al neocapitalismo iper-consumista, prende facilmente a bersaglio la TV contro cui si scagliava anche Pier Paolo Pasolini, ma per ragioni opposte rispetto a quest’ultimo. Quando Pasolini raccontava l’avvento «del consumismo e del suo edonismo di massa: evento che ha costituito, soprattutto in Italia, una vera e propria rivoluzione antropologica», non avrebbe immaginato che un giorno potesse riassumersi nei Ferragnez. Commenta Matteo Brandi: «un conformismo totale, nascosto da una patina di glitter, perfetto per essere venduto ad una platea di giovani che vogliono sentirsi “fuori dagli schemi” ma senza esserlo davvero. Diversi sì, ma come tutti gli altri. Ed è qui che sta la bravura di Fedez e di quelli come lui. Nell’aver trovato in questo mondo artificiale una vena d’oro, da prendere freneticamente a picconate per estrarne ricchezza a non finire. Soldi, visibilità, sponsor. Il tutto riuscendo persino ad apparire, al suo folto pubblico, come un eroe.»
Dopo i politici-influencer dell’Era RAI e Mediaset, ecco arrivare l’influencer-politico che ridisegna lo spazio di ciò che si può dire. Le vecchie censure vengono abbattute, ed è un bene. Ma vengono dimenticate le nuove censure: il titanismo narcisista instagrammatico, distratto dalla vicenda Fedez, non sa dire nulla sulla miriade di censure che colpiscono – su Facebook, Youtube, Amazon, ecc. – tutte le forme di pensiero divergente che si manifesti sui grandi temi dominati dai media del neocapitalismo.
Milioni di docili follower vedranno come un dramma la censura su Fedez (che non si è attuata), ma non si accorgeranno della censura molto più silente ed efficace che non fa loro sapere nulla su Julian Assange o sullo sfruttamento dei lavoratori di Amazon e sui nuovi inferni della precarizzazione di massa.