‘
di Francesco Piccioni – www.ilmanifesto.it
Avvicinare l”età del ritiro alle «attese di vita» e incentivare i fondi integrativi privati: un “libro bianco” della Commissione europea detta la linea. Aumentare l”età pensionabile e l”importo dei contributi previdenziali per ciascun lavoratore; favorire le assicurazioni private; ma anche sollecitare le imrpese a tenere persone over 45. Non finirà mai, finché esisteranno. Se avevato creduto che la distruzione del sistema pensionistico fosse arrivata a conclusione, vi eravate lasciati ingannare.
L”altroieri sera, in gran silenzio, la Commissione Europea ha presentato il suo Libro Bianco sulle pensioni nel Vecchio Continente. Con molte accortezze. La «sintesi per i cittadini» e il «comunicato stampa» contengono formulazioni abbastanza generiche e tranquillizzanti («cosa i governi nazionali possono fare per garantire pensioni adeguate a costi ragionevoli e sostenibili»). Ma già nello schema «domande e risposte» si comincia ad entrare in un mondo più hard, dove linguaggio e realtà fanno seriamente a pugni.
Il problema è impostato nei termini astratti ampiamente noti: in Europa «oggi ci sono circa 4 persone in età lavorativa per ogni persona in pensione; tra 50 anni il rapporto sarà di 2 a1». Se è serio disegnare scenari per impostare meccanismi strutturali, pensare di poterlo fare una volta per tutte – come se in questo mezzo secolo non potesse o dovesse accadere nulla di rilevante sul piano sistemico, è una presa in giro. Per esempio, la vita media dovrebbe salire di «sette anni»; e immaginiamo l”incubo di dover sovvenzionare tanti vecchietti «semi-immortali». Ma l”importante era appunto «impostare», prefigurando le soluzioni più gradite al non immenso arco di forze potenti che agisce livello Ue.
E quindi: bisogna «incoraggiare tutti a continuare a lavorare più a lungo e a risparmiare di più per la pensione». Ovvero aumentare l”età pensionabile e l”importo dei contributi previdenziali a carico di ogni lavoratore; ma anche gli accontonamenti per i fondi integrativi. La Ue sa bene che le imprese non voglio «anziani» (over 45 anni, ormai) in azienda. E quindi bisogna «sollecitare le parti sociali ad adattare il posto di lavoro e le prassi sul mercato»; il Fondo sociale europeo, dunque, andrà riconvertito per «incentivare le aziende» a prendersi o tenersi qualche vecchietto in più.
La parte del leone la dovranno fare però i «sistemi pensionistici privati complementari», cui gli stati membri sono chiamati a fornire agevolazioni fiscali. Sistemi la cui sicurezza è riconosciuta assai bassa (dipendono dalle oscillazioni di borsa, non proprio il massimo della certezza) e che va «potenziata». Si prende poi atto che la libera circolazione delle persone, anche per motivi di lavoro, richiede una normativa che integri le differenze tra i diversi sistemi nazionali.
I problemi pratici e istituzionali non sono pochi. «La Ue non ha il potere di legiferare per disegnare i sistemi dei vari stati membri», viene riconosciuto; ma «può farlo sui comportamenti che influiscono sul mercato interno». Ovvero promuovendo «misure soft» dal punto di vista legale, come i «manuali di buona pratica». Standard cui ogni stato, singolarmente, deve poi adeguarsi. Oltre al Fse per promuovere l”«occupabilità » degli anziani, infatti, tutto il «coordinamento delle politiche» comunitarie, nel contesto del «Semestre europeo», può portare a «raccomandazioni specifiche per i vari paesi». Bastone (sanzioni) e carota (fondi comunitari) per «piegare» i sistemi pensionistici nazionali.
Gli assi «strutturali» sono in definitiva chiarissimi. I sistemi pensionistici pubblici, in prospettiva, dovranno erogare assegni molto più bassi, per una platea di persone più vasta e per un periodo di tempo notevolmente minore.
L”ideale resta quello di Bismarck – il primo a introdurre le pensioni pubbliche, nel 1889! – che fissò l”età del ritiro dal lavoro a un livello che l”Istituto di statistica considerava la durata della «vita media»: 65 anni, ai tempi. Tutto l”argomentare retorico che «consiglia» di implementare la «correlazione tra età della pensione con la speranza di vita» è una funzione diretta del progetto europeo e centralizzato di far coincidere il più possibile le due età .
Il secondo pilastro – le pensioni integrative private – è anche un modo di portare i «risparmi» dei lavoratori di un intero continente nella disponibilità immediata, anno dopo anno, dei mercati finanziari. I fondi di investimento (compresi quelli pensionistici, tra i player più importanti su ogni piazza) sono infatti una «macchina speculativa» come tutte le altre, non certo una «cassaforte» dove tener i risparmi al sicuro.
Solo al momento dall”uscita dal lavoro – il più tardi possibile, raccomanda la Ue – e a seconda della fase borsistica che si va atrtraversando in quel momento, sapranno se avranno avuto fortuna o meno. Il bello è che questa situazione kafkiana viene decritta nel testo così: «garantire che le persone, una volta pensionate, ricevano quello che si aspettavano». Geniale, come trovata di marketing. Uno sfottò, come previdenza sociale.
Fonte: http://www.ilmanifesto.it/attualita/notizie/mricN/6525/
‘