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'In pensione ancora più tardi, anche se crollano le ''aspettative di vita'''

'Tra gli auguri di buon anno, non poteva mancare l''arrivo di un altro ''scalino'' pensionistico. Qui un''analisi dettagliata che dà conto di tutti i dettagli ''tecnici'''

'In pensione ancora più tardi, anche se crollano le ''aspettative di vita'''
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4 Gennaio 2016 - 22.57


ATF

di Claudio Conti e Davide Grasso.

Tra gli auguri di buon anno, non poteva mancare l”arrivo di un altro
“scalino” pensionistico. Pubblichiamo qui di seguito l”analisi
dettagliata di Davide Grasso, pubblicata nel sito de “Il sindacato è
un”altra cosa”
(la componente di opposizione interna alla Cgil), che dà
conto di tutti i dettagli “tecnici”.


Noi vorremmo però indirizzare l”attenzione dei lettori sulla
contraddizione che comincia a diventare palese tra le ragioni addotte
per “riformare le pensioni” dai vari governi criminali degli ultimi
decenni e la dinamica reale degli andamenti demografici.


Come abbiamo sentito dire per anni, le “riforme” pensionistiche erano scelte obbligate per “adeguare l”età pensionabile alle aspettative di vita”.
Formula infame, certamente, ma dall”apparenza innocente. Che c”è di
male, in astratto (ma solo in astratto), a far lavorare qualche anno di
più una popolazione che vede continuamente allungarsi nel tempo il
momento del trapasso? 

Le argometazioni a contrasto sono state molte, e tutte serie (dai
lavori cosiddetti “usuranti” alle pure constatazioni empiriche: come fa
una maestra a fare lezione, o un muratore a camminare sui ponteggi, fino
a 67 anni?). Ma non hanno spostato di una virgola i programmi dei
governi /dalla “riforma Dini” del 1996 a quella “Boeri” in via di
progettazione: tremate!).


Il principio basilare restava infatti quello contabile (se la gente
vive più a lungo, “non possiamo pagare pensioni per un numero indefinito
di anni”), perché le “aspettative di vita” effettivamente continuavano
ad aumentare. E chissenefrega se a un quasi settantenne non si può
chiedere la stessa efficienza lavorativa di un cinquantenne (a meno di
non svolgere professioni esclusivamente intellettuali: giornalista,
professore universitario, parlamentare, ecc).


Le ragioni di quell”aumento sono state più volte analizzate: un
orario di lavoro limitato a otto ore, la sicurezza del posto (con tutele
contro i licenziamenti, ferie, riposi, diritto a periodi di malattia o
maternità, ecc), una sanità pubblica efficiente e semigratuita,
un”istruzione altrettanto pubblica e semigratuita (che permetteva il
funzionamento dell””ascensore sociale”, verso mestieri meno stressanti
sul piano fisico), e infine un”età pensionabile umana (mediamente
intorno ai 57 anni, invece dei 67 che vanno a regime dal 1° gennaio). 

Tutte queste condizioni favorevoli all”allungamento della vita sono
state cancellate più o meno radicalmente (sanità e istruzione
sopravvivono con molte difficoltà, ma l”attacco finale contro di esse
non è stato ancora sferrato), e i risultati concreti si cominciano a
vedere: nel 2015 ci sono stati 68.000 morti in più rispetto al 2014, + 11,3%.


I cambiamenti nei processi demografici sono in genere molto lenti, a
meno di eventi socialmente catastrofici come le guerre. Quindi la
percezione che se ne ha a livello di common people è ritardata; ossia, prima ci devono essere i mutamenti e poi ci si rende conto di quanto è ormai avvenuto.


In questo caso, però, abbiamo la possibilità di verificare in tempi
abbastanza rapidi quel che sta avvenendo. Quel +11,3% del 2015 è un
aumento che non si vedeva dagli anni in cui erano in corso due guerre
mondiali anche sul nostro territorio. La stretta operata già ora sulle
condizioni di vita e di lavoro della popolazione è insomma tale da
produrre gli effetti tipici di una guerra. Ossia un abbassamento delle aspettative di vita.

 

Se, com”è prevedibile, questo andamento si confermerà anche nei
prossimi due-tre anni (con ulteriori accelerazioni), tutti gli elementi
che concorrono a produrre l”apposito “indice” subiranno variazioni
negative tali da rendere impossibile continuare nella cantilena
padronale sull””adeguamento dell”età pensionabile, ecc”.  Resteranno a
quel punto solo i brutali criteri contabili: inumani.


Secondo noi non cӏ nessuna ragione di attendere che qualche
centinaio di migliaia di persone scendano prematuramente nella tomba per
cominciarsi ad incazzare. Si puà fare anche subito. Esempi e numeri non
mancano. Basta smettere di attendere che le cose migliorino per volontà
divina. Come si è visto in questi anni, ogni messaggio “ottimistico”
sparso da governo e media è solo oppio per invitare alla calma ed avere
“fiducia”. 


Quel tempo è durato anche troppo e deve finire. Altrimenti ne va della nostra vita… (qualsiasi età abbiate, lettori!) 


*****


Pensioni, scatta la stretta. Così si andrà in pensione nel 2016


Davide Grasso


 

Con lo slittamento del capitolo sulla flessibilità in uscita dal 1° gennaio del prossimo anno si dovrà lavorare 4 mesi in più. Per le donne l’incremento sarà di quasi di due anni.


Con
il rinvio della flessibilità in uscita dal prossimo anno si dovrà
lavorare di più. Ben 4 mesi in più, a causa dell’aspettativa di vita. E
dal 2019 si dovrà mettere in conto un ulteriore scatto che attualmente,
secondo lo scenario demografico dell’Istat, sarà di nuovo pari a 4 o 5
me
si. Poche le novità contenute nella legge di
stabilità che in realtà rispondono più che altro a questioni
emergenziali piuttosto che ad un disegno organico di revisione della
Legge Fornero da molti richiesto. Vediamo dunque di riassumere i
cambiamenti in arrivo dal 1° gennaio 2016.


P.
Anticipata
. Dal prossimo anno, e sino al 2018, i requisiti contributi
per la pensione anticipata salgono a 42 anni e 10 mesi di contributi per
gli uomini e a 41 anni e 10 mesi di contributi per donne pari,
rispettivamente, a 2227 settimane e a 2175 settimane di versamenti (per
coloro che hanno la contribuzione espressa in settimane). Si potrà
continuare ad uscire indipendentemente dall’età anagrafica, cioè anche
prima dei 62 anni, senza incorrere nella penalizzazione dato che, grazie
alla legge 190/2014, è stata congelata sino al 2017.

Vecchiaia. Per la pensione di vecchiaia, fermo restando
il minimo di 20 anni di contributi (15 anni per i lavoratori cd.
quindicenni), i requisiti restano differenti per le donne del settore
privato rispetto agli uomini e alle donne del settore pubblico. Gli
uomini, dipendenti o lavoratori autonomi, dovranno raggiungere i 66 anni
e 7 mesi di età. Lo stesso requisito è fissato per le donne del
pubblico impiego. Per le lavoratrici del settore privato l’aumento sarà
piu’ elevato in quanto l’effetto della speranza di vita si cumula con il
graduale innalzamento dell’età per la vecchiaia che, entro il 2018,
dovrà assicurare la totale parificazione con i requisiti vigenti per gli
uomini. Per le dipendenti del settore privato serviranno quindi 65 anni
e 7 mesi (contro i 63 anni e 9 mesi attuali), per le autonome 66 anni e
un mese (contro i 64 anni e 9 mesi attuali).


L’unica novità è per le
donne che vedranno allungarsi di un anno la possibilità di accesso
all’opzione donna: con la legge di stabilità 2016 il Governo consentirà a
quelle lavoratrici che hanno raggiunto i 57 anni e 3 mesi di età (58
anni e 3 mesi le autonome) entro il 31 dicembre 2015 di optare per la
pensione contributiva anche se la decorrenza del trattamento avverrà
successivamente al 2015 (restano infatti in vigore per questa forma di
pensionamento le finestre mobili di 12 o 18 mesi). Ma a parte questa
novità che potrà interessare alcune migliaia di lavoratrici il canale di
uscita si chiuderà comunque il 31 dicembre 2015 salvo residuino risorse
per  una proroga del regime. C’è poi la settima salvaguardia anch’essa
prevista con la legge di stabilità che consentirà a 26.300 lavoratori di
prepensionarsi rispetto alle regole Fornero.


xxxx


Usuranti. Novità anche per i lavori usuranti. Com’è
noto nei loro confronti si applica ancora il previgente sistema delle
quote di cui alla Tabella B allegata alla legge 23 agosto 2004, n. 243.
Ebbene dal 2016 dovranno perfezionare 61 anni e 7

mesi di età anagrafica con il contestuale raggiungimento del quorum 97,6
con un minimo di 35 anni di contributi. Anche se per la liquidazione
del primo rateo dovranno attendere sempre uno slittamento di 12 mesi per
via delle cd. finestre mobili. Va peggio per i notturni con un numero
di notti lavorate inferiore a 77 anni: dovranno perfezionare 62 anni e 7
mesi di età unitamente ad un quorum pari a 98,6; mentre se il numero di
notti lavorate è invece ricompreso tra 64 e 71 il requisito da
raggiungere diventa 63 anni e 7 mesi ed il quorum passa a quota 99,6.


Lo
slittamento di 4 mesi influenzerà anche la data di ingresso alla
pensione per il comparto difesa e sicurezza e per i comparti per i quali
sono attualmente previsti requisiti previdenziali diversi da quelli
vigenti nell’AGO, appena esposti (si pensi ad esempio agli ex-enpals e
agli autoferrotranvieri). Naturalmente sono soggetti agli adeguamenti
anche i lavoratori cd. salvaguardati che, sempre con la legge di
stabilita’ guadagnano la settima salvaguardia in favore di altri 26.300
soggetti, ma in tal caso la normativa da prendere a riferimento, sulla
quale applicare i 4 mesi di slittamento, sarà quella ante-fornero. Anche
il requisito anagrafico per conseguire l’assegno sociale slitterà da 65
anni e 3 mesi a 65 anni e 7 mesi.



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