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Controllo sociale e governance della povertà

Note sull’introduzione del Reddito di inclusione in Italia.

Controllo sociale e governance della povertà
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14 Settembre 2017 - 15.19


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di Andrea Fumagalli

Il 29 agosto 2017 è stato approvato in via definitiva dal Consiglio dei Ministri il Reddito di inclusione (REI). Si tratta di una misura nazionale di contrasto alla povertà, selettiva e condizionata. Si compone di due parti:

1. un beneficio economico, erogato attraverso una Carta di pagamento elettronica (Carta REI);

2. un progetto personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa “volto al superamento della condizione di povertà”, come dichiarato dal ministro Poletti.

In questa scheda presentiamo i requisiti richiesti, così come descritti dallo stesso Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale

Requisiti di residenza e soggiorno

Possono accedere al REI le seguenti categorie di cittadini:

1. cittadini italiani

2. cittadini comunitari

3. familiari di cittadini italiani o comunitari, non aventi la cittadinanza in uno Stato membro, titolari del diritto di soggiorno o diritto di soggiorno permanente

4. cittadini stranieri in possesso del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo (ovvero in possesso, da almeno 5 anni di un permesso di soggiorno in corso di validità, a condizione che dimostri la disponibilità di un reddito minimo non inferiore all’assegno sociale annuo (pari ad € 5.824 per il 2017)

5. titolari di protezione internazionale (asilo politico, protezione sussidiaria), che siano residenti in Italia da almeno due anni al momento della presentazione della domanda.

Requisiti familiari

I beneficiari sono inizialmente individuati tra i nuclei familiari con:

1. figli minorenni

2. figli con disabilità (anche maggiorenni)

3. donna in stato di gravidanza

4. componenti disoccupati che abbiano compiuto 55 anni

Requisiti economici

I beneficiari sono individuati anche sulla base dell’ISEE e delle sue componenti reddituali e patrimoniali. Per accedere al REI, infatti, il nucleo familiare deve essere in possesso congiuntamente di:

1. un valore ISEE in corso di validità non superiore a 6.000euro

2. un valore ISRE (l’indicatore reddituale dell’ISEE diviso la scala di equivalenza) non superiore a 3.000 euro

3. un valore del patrimonio immobiliare, diverso dalla casa di abitazione, non superiore a 20 mila euro

4. un valore del patrimonio mobiliare (depositi, conti correnti) non superiore a 10 mila euro (ridotto a 8 mila euro per la coppia e a 6 mila euro per la persona sola)

Altri requisiti

Nessun componente del nucleo familiare deve:

1. percepire prestazioni di assicurazione sociale per l’impiego (NASpI) o di altro ammortizzatore sociale di sostegno al reddito in caso di disoccupazione involontaria

2. possedere autoveicoli e/o motoveicoli immatricolati la prima volta nei  24 mesi antecedenti la richiesta (sono esclusi gli autoveicoli e i motoveicoli per cui è prevista una agevolazione fiscale in favore delle persone con disabilità)

3. possedere navi e imbarcazioni da diporto (art.3, c.1, d.l.gs. 171/2005)

Definiti i requisiti di accesso, analizziamo ora l’ammontare delle risorse messe a disposizione, il livello del REI e il grado di condizionalità.

Finanziamento

Per finanziare il Reddito di inclusione è stato istituito il Fondo nazionale per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale, con una dotazione strutturale che l’ultima legge di bilancio ha portato a 1,7 miliardi dal 2018. Grazie alla razionalizzazione degli strumenti esistenti di contrasto alla povertà (SIA, ASDI e social card ), le risorse nel Fondo povertà salgono a 1,845 miliardi a decorrere dal 2019, parte delle quali destinate a rafforzare i servizi.

Ammontare del sussidio

Il beneficio economico dipenderà dalla differenza tra il reddito familiare e una soglia, che è anche la soglia reddituale d’accesso. La soglia è pari per un singolo a 3.000 euro e riparametrata sulla base della numerosità familiare per mezzo della scala di equivalenza dell’ISEE. Ad esempio per un nucleo di 4 persone è di 7.380 euro.

Inizialmente, la soglia sarà coperta al 75%.

In ogni caso, il beneficio – inclusivo di eventuali altre prestazioni, tranne l’indennità di accompagnamento – per ogni nucleo familiare non potrà essere superiore all’assegno sociale (valore annuo, 5.824 euro; al mese circa 485 euro).

Ne consegue che per una famiglia composta da un solo individuo il beneficio massimo mensile è pari a Euro 187,5, da due individui, Euro 294,38, da tre individui, Euro 382,5, da 4 individui Euro 461,25, da 5 o più individui, Euro 485,41.

Condizionalità

Il REI prevede l’erogazione del sostegno economico solo condizionatamente all’adesione a un progetto personalizzato di attivazione sociale e lavorativa.

I Comuni, esercitando le funzioni in maniera associata a livello di Ambiti territoriali, devono avviare i Progetti personalizzati di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa, che vengono costruiti insieme al nucleo familiare sulla base di una valutazione multidimensionale finalizzata a identificarne i bisogni, tenuto conto delle risorse e dei fattori di vulnerabilità, nonché dell’eventuale presenza di fattori ambientali e di sostegno.

La valutazione è organizzata in un’analisi preliminare (da svolgere entro 1 mese dalla richiesta del REI), rivolta a tutti i beneficiari.

Il Progetto deve essere sottoscritto dai componenti il nucleo familiare entro 20 giorni lavorativi dalla data in cui è stata effettuata l’analisi preliminare, pena il decadimento del beneficio.

 

* * * * *

 

Il provvedimento rientra all’interno di una politica consolidata di gestione della povertà che ormai si è diffusa in Europa, soprattutto dopo l’inizio della crisi 10 anni fa e rispetto alla quale l’Italia ha sempre manifestato un ritardo strutturale. La persistenza di un welfare familiare che faceva affidamento sul risparmio della vecchia generazione fordista ha fatto sì che in Italia non fosse ritenuta necessaria una misura di contrasto alla povertà. Solo quando la privatizzazione dei servizi sociali (dalla sanità, alla previdenza, all’istruzione) e il peggioramento della distribuzione del reddito in seguito alla riduzione del potere d’acquisto dei salari, l’aumento della precarietà e della disoccupazione hanno causato un deciso incremento sia della povertà assoluta che relativa, allora è diventato necessario intervenire per la gestione (si badi bene, non  l’eliminazione) di tale fenomeno, anche alla luce degli obblighi firmati con la Commissione Europea e il rischio di salate multe.

In altre parole: prima si crea la povertà, poi la si gestisce, facendo attenzione che comunque sacche rilevanti di povertà continuino a permanere.

Il provvedimento del REI è infatti perfettamente in linea con questa interpretazione.

Vediamo il perché:

1. Nonostante il REI abbia avuto come fonte d ispirazione un insieme di forze e associazioni prevalentemente di matrice cattolica (Alleanza contro la povertà, con la partecipazione, tra le altre, della Caritas, Acli, Università Cattolica, Cgil, Cisl e Uil)[1], di fatto è una misura che esclude i migranti (a differenza di quanto viene predicato dalla stessa Chiesa). Infatti, osservando i parametri di accesso, i migranti che possono fare domanda sono solo coloro che sono in possesso del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo. Per potervi accedere, è necessario avere il permesso di soggiorno da più di 5 anni e soprattutto dimostrare di godere di un reddito superiore all’assegno sociale. L’ammontare dell’assegno sociale è esattamene il limite massimo di reddito par fare domanda (Euro 5824). Ne consegue che i migranti in possesso dei requisiti amministrativi e di cittadinanza necessari per eventualmente ottenere il REI hanno un reddito troppo alto per accedervi! Bisognerebbe chiedersi se tali misure selettive di accesso non siano anti-costituzionali in quanto foriere di discriminazione sociale. Ne consegue che il REI è anche una misura di divisione sociale, finalizzato a mantenere comunque in stato di povertà e ricatto quella forza lavoro migrante più povera: si conferma il suo essere strumento di controllo sociale finalizzato allo sfruttamento del lavoro.

2. Il REI è uno strumento che induce subalternità e ricattabilità a chi può accedervi. Al di là dei vincoli economici (6.000 euro di reddito familiare ISEE!) tarati per un finanziamento compatibile con i dettami del patto di stabilità europeo (in grado di favorire solo una esigua parte – 500.000 famiglie, circa 1,8 milioni di individui, quando nel 2016 l’Istat stima siano 1 milione e 619mila le famiglie residenti in condizione di povertà assoluta, nella quale vivono 4 milioni e 742mila individui – l’ammontare del beneficio risulta comunque di gran lunga inferiore alla stessa soglia di povertà assoluta. Le soglie di povertà assoluta rappresentano i valori rispetto ai quali si confronta la spesa per consumi di una famiglia al fine di classificarla assolutamente povera o non povera. Ad esempio, per un adulto (di 18-59 anni) che vive solo, la soglia media di povertà è pari a 702 euro mensili. Al riguardo il Rei (pari Euro 187,5,  a risulta essere solo il 27% di tale soglia. Per una famiglia composta da 5 o più individui, il REI copre solo il 20% dell’effettivo fabbisogno.  La misura risulta quindi del tutto insufficiente ed è difficile sostenere che possa essere in grado di eliminare la condizione di povertà. Ricordiamo che la cifra necessaria per eliminare realmente la condizione di povertà assoluta è, pari, secondo le stime dello stesso ministero del Lavoro, a circa 7-8 miliardi.

3. Di converso, il REI introduce forme di controllo della vita degli individui che non hanno precedenti e che si rifanno al modello tedesco[2]. I beneficiari sono obbligati ad avviare “un progetto personalizzato di attivazione sociale e lavorativa”, gestito dai funzionari comunali e dagli operatori sociali, in grado non solo di condizionare la vita degli stessi individui (che per la maggior parte non sono in grado di presentare progetti di auto-realizzazione e, anche se lo fossero, sicuramente incompatibili con l’eventuale domanda di lavoro esistente, sottopagata e precaria), ma anche di sindacare sulla propria struttura di consumo. All’obbligo dell’accettazione di qualunque proposta di lavoro si aggiunge anche implicitamente l’accettazione di un livello di consumo che si addice a chi vive una condizione di povertà. Al riguardo, è abbastanza ridicolo che motivo di rifiuto della domanda del REI vi sia la proprietà di un’auto o di un motorino comprati nei precedenti 24 mesi o il possesso di una barca da diporto(?)!

Nulla di nuovo sotto il sole. La governance della povertà, senza eliminarla, è una delle architravi del sistema di workfare: minima e insufficiente protezione sociale di ultima istanza (peraltro parziale) in cambio di coazione al lavoro.

Parlare al riguardo di reddito di base fa a pugni con l’evidenza e con il buon senso. Può essere utile da un punto di vista elettorale per erodere il monopolio di tale proposta (sempre più svuotata di significato e di alternatività) mediaticamente detenuto dal Movimento 5 Stelle, ma è del tutto inutile per far baluginare qualche scintilla di miglioramento sociale.

Ben altro approccio sarebbe necessario, a partire dalla comprensione che un reddito di base è strumento di cambiamento e progresso sociale solo se viene considerato come reddito primario e quindi erogato in modo incondizionato e ad un livello come minimo pari alla soglia di povertà relativa, in forma individuale (non familiare) e a tutte/i le/i residenti che vivono in un territorio.

Uno strumento sul quale si dovrebbe innestare una nuova idea di welfare in grado di favorire l’auto-determinazione e la libertà di scelta. In una parola, un welfare del comune (Commonfare). Ma su questo avremo modi di ritornare prossimamente in modo più esaustivo, anche alla luce del convegno che Effimera sta organizzando sulle forme di welfare dal basso il prossimo autunno (28-29 ottobre a Milano).  Stay tuned!

 

NOTE

[1] Sono soggetti fondatori dell’Alleanza: Acli, Action Aid, Anci, Azione Cattolica Italiana, Caritas Italiana, Cgil-Cisl-Uil, Cnca, Comunità di Sant’Egidio, Confcooperative, Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, Federazione Nazionale Società di San Vincenzo De Paoli Consiglio Nazionale Italiano – ONLUS, fio.PSD – Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora , Fondazione Banco Alimentare ONLUS, Forum Nazionale del Terzo Settore, Jesuit Social Network, Legautonomie, Save the Children, Umanità Nuova-Movimento dei Focolari.
Sono soggetti aderenti dell’Alleanza: Adiconsum, Arci, Associazione Professione in Famiglia, ATD Quarto Mondo, Banco Farmaceutico, Cilap EAPN Italia, CSVnet – Coordinamento Nazionale dei Centri di Servizio per il Volontariato, Federazione SCS, Focsiv, Fondazione Banco delle Opere di Carità Onlus, Fondazione ÉBBENE, Gvvaic Italia, Piccola Opera della Divina Provvidenza del Don Orione, U.N.I.T.A.L.S.I. – Unione Nazionale Italiana Trasporto Ammalati a Lourdes e Santuari Internazionali.
L’Alleanza contro la Povertà in Italia nasce da un’idea del prof. Cristiano Gori (Università Cattolica di Milano) ed è stata inizialmente promossa dalle Acli in collaborazione con la Caritas. Le Acli ne hanno il coordinamento politico, con il sostegno organizzativo di Caritas Italiana, e il prof. Gori coordina il gruppo scientifico. Le attività dell’Alleanza sono realizzate in termini collegiali grazie al contributo delle Segreterie Confederali di Cgil, Cisl e Uil e delle altre realtà associative ed istituzionali aderenti. Per info, vedi: http://www.redditoinclusione.it/il-patto-aperto-contro-la-poverta/presentazione-alleanza/

[2]  Per un approfondimento, si veda G. Comisso, G. Savini,  Reddito di cittadinanza. Emancipazione dal lavoro o lavoro coatto?, Asterios, Trieste, 2017, specie cap. IV: http://www.bin-italia.org/un-libro-sul-reddito-cittadinanza/

 

Link articolo: Controllo sociale e governance della povertà

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