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Falchi anti-iraniani nei posti chiave dell'Amministrazione Trump

'Abbiamo analizzato i nomi chiave della squadra di governo del presidente eletto USA attraverso la loro posizione nei confronti di Teheran. C''è da preoccuparci [S. Santini]'

Falchi anti-iraniani nei posti chiave dell'Amministrazione Trump
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11 Dicembre 2016 - 12.55


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di Simone Santini

Si sta definendo la squadra di governo del
presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump, che si insedierà a gennaio.
Abbiamo analizzato i nomi più rappresentativi attraverso un”ottica particolare,
la loro posizione nei confronti dell”Iran. Il quadro che ne risulta appare
molto preoccupante.

Mike
Pence

Vice-presidente eletto, ora a capo del transition team, politico di lungo corso
e referente del partito repubblicano nell’Amministrazione Trump, sarà senza
dubbio l’anima politica della struttura presidenziale. Da governatore
dell’Indiana si mostrò fermamente contrario all’accordo con l’Iran sul nucleare
ed inviò una lettera ai membri del Congresso del suo Stato in cui sosteneva:
“Sono contrario a questo accordo perché non renderà gli Stati Uniti o il nostro
alleato più prezioso, Israele, più sicuro. Invece, promette all”Iran una revoca
delle nostre sanzioni in cambio di un accordo sul programma di armamento
nucleare che fermerà solo temporaneamente le sue ambizioni anziché smantellarle
definitivamente”. Durante la campagna elettorale, in particolare nel confronto
televisivo con il candidato omologo Tim Kaine, ebbe modo di ribadire questa sua
posizione: “Con questo accordo iniziato dalla Clinton, già 150 milioni di
dollari sono arrivati nelle casse dei mullah iraniani più radicali.. Loro (i
democratici) continuano a dire che questo accordo ha preventivamente impedito
all’Iran di ottenere un’arma nucleare. Ma il punto è un altro. Ciò che abbiamo
sempre garantito è stato che, e quando ero al Congresso abbiamo sempre lottato
duramente con una base bipartisan su questo, avremmo posto fine alle sanzioni
solo se l’Iran avesse rinunciato definitivamente e in modo permanente alle sue
ambizioni nucleari. Non l’hanno fatto, non hanno rinunciato. E quando i termini
dell’accordo saranno scaduti, non ci sarà nessuna limitazione perché possano
ottenere i loro armamenti nucleari. Invece stanno ottenendo, adesso, un
guadagno di 1,7 miliardi di dollari..”.

Rex Tillerson

Per il Dipartimento di Stato si erano
susseguiti molti nomi di politici, militari, diplomatici. Da Giuliani a Romney,
da Petraeus a Bolton. Alla fine l”ha spuntata, a sorpresa, un outsider. Rex
Tillerson non è un politico di professione, né un militare, ma un capitano
d”industria. Il capo della più grande multinazionale mondiale del petrolio, la
Exxon, azienda in cui è arrivato nel 1975 e di cui ha scalato i vertici
partendo dal basso. Quale uomo d”industria non si conoscono in modo
significativo le sue posizioni politiche su svariati temi, tuttavia alcuni dati
del curriculum sono significativi.

Alla fine degli anni ”90 presiedeva le
holding della Exxon in Russia e nella regione del Mar Caspio. Nel 2011 firmò
con Mosca un contratto da 300 miliardi di dollari per la perforazione e lo
sfruttamento di nuovi giacimenti petroliferi nella regione dell”Artico. Tale
accordo fu bloccato in seguito alle sanzioni decise dall”Amministrazione Obama
verso la Russia. Nel 2013 ha ricevuto l”onorificenza “Order of Friendship”
direttamente dalle mani di Putin.

Nel 2011 aveva firmato un altro accordo per
lo sfruttamento dei giacimenti nella regione del Kurdistan, trattando
direttamente con le autorità curde e scavalcando le autorità irachene, contravvenendo
alle leggi locali. Va sottolineato che la nascita della entità proto-nazionale
del Kurdistan iracheno, una sorta di protettorato sotto il controllo di Stati
Uniti e Israele, con la collaborazione della Turchia, è probabilmente il più
importante risultato strategico ottenuto dagli americani con le guerre
mediorientali degli ultimi decenni.

Allo stato attuale si può dunque interpretare
la nomina di Tillerson a guidare la diplomazia statunitense lungo le rotte
petrolifere, in una cornice di distensione nei confronti della Russia e in
vista di grosse turbolenze nella regione mediorientale, non esclusi shock
energetici.

In queste ore, notizie di stampa attendibili
riportano che Tillerson sarà inoltre affiancato come vice-segretario da un
diplomatico di lungo corso, John Bolton, già ambasciatore all”Onu
durante l”Amministrazione Bush jr., e unanimemente considerato una delle figure
più radicali dell”area neoconservatrice. Fa parte di numerosi think tank
neocon tra cui spiccano l”American Enterprise Institute e il Jewish
Institute for National Security Affairs
(JINSA). In più di una occasione
Bolton ha espresso la necessità di affrontare militarmente l”Iran o di
provocare un cambio di regime a Tehran. Considera l”Iran “una minaccia per
l”equilibrio internazionale” e l”ha più volte indicato come paese “sponsor del
terrorismo internazionale”. Avversa drasticamente l”accordo nucleare del 2015.

Vista la scarsa esperienza diplomatica di
Tillerson, sarebbe con ogni probabilità Bolton l”anima politica a Foggy Bottom.

James
Mattis

Da decenni, negli Usa, un militare non andava
a ricoprire la più alta carica al Pentagono. E James Mattis, “cane rabbioso
Mattis”, generale in congedo, non è un militare qualunque. Come operativo ha
combattuto nella prima guerra del Golfo, poi in Afghanistan e di nuovo in Iraq,
guidando i suoi marines nelle battaglie di Falluja, tristemente famose.
Forgiandosi sul campo è arrivato fino alla guida del Centcom, il comando
americano che presiede alle operazioni militari in Africa e Medio Oriente.
Conosce dunque perfettamente quel teatro non solo per averlo studiato in ambito
accademico e diplomatico, ma per averlo affrontato sul campo di battaglia.

Ma contrariamente a quanto il suo curriculum
potrebbe far pensare, il suo nemico principale non è il sunnismo radicale, che
ha affrontato direttamente, bensì l’Iran che considera “la più forte minaccia
per la stabilità e la pace nel Medio Oriente”. Obama lo allontanò dal Centcom
(come ricorda Leon Panetta nelle sue memorie) perché lo considerava troppo
desideroso di un confronto militare proprio contro l’Iran, mentre la sua
Amministrazione puntava all’accordo con gli ayatollah.

Nel 2012 sostenne le forniture di armi ai
ribelli siriani come una modalità per combattere, indirettamente, contro gli iraniani.
In questo era perfettamente coerente con la visione che lo portava a dire: «Considero
l’ISIS niente più che un pretesto per l”Iran per continuare le sue azioni
maligne. L”Iran non è un vero nemico dell’ISIS. Essi hanno molto da guadagnare
dalle turbolenze che l’ISIS crea nella regione».

È un fermo detrattore dell’accordo sul
nucleare, poiché considera il deal
del 2015 come un «imperfetto controllo sugli armamenti nucleari… una pausa
nella ricerca degli armamenti atomici da parte iraniana, non una battuta
d’arresto». Ma, da buon generale, vede anche il lato positivo: «Le ispezioni
non riusciranno ad impedire all’Iran di sviluppare armi nucleari, ma in
compenso avremo più dati sui target
da colpire se ci fosse necessità di combattere in futuro».

Tra i sostenitori di Mattis vi è l’ex
candidato alle presidenziali e big dei repubblicani John McCain, attualmente
presidente della commissione Servizi armati del Senato: si racconta che durante
la campagna elettorale, che lo vide poi sconfitto da Obama, amasse canticchiare
le note di un celebre motivetto (Barbara Ann dei Beach Boys) ma modificando le parole del ritornello in
Bomb-Bomb-Bomb-Bomb-Iran…

Michael
Flynn

Generale in pensione, sarà il segretario
della Sicurezza nazionale. Ha trascorso la sua vita professionale
nell’intelligence militare fino a diventare il capo della DIA (Defense Intelligence Agency) tra il 2012
e il 2014. Flynn fu licenziato da Obama per averlo duramente attaccato (“è un
bugiardo”) insieme alla Clinton (“si merita la galera”), colpevoli a suo avviso
di aver consentito nascita, proliferazione ed affermazione dell’Isis in Iraq e
Siria. Sostenitore della prima ora di Trump e suo massimo consigliere sulla
politica internazionale durante la campagna elettorale, è uno strenuo nemico del
radicalismo islamico e potrebbe essere il regista del disgelo tra Stati Uniti e
Russia. Altrettanto netta la sua posizione sull’Iran. Considera il paese
persiano una grave minaccia degli equilibri internazionali in quanto sponsor
del terrorismo internazionale ed osteggia fermamente l’accordo sul nucleare
giudicandolo uno degli errori più gravi commessi da Obama. Il suo indirizzo
politico sarà orientato a smantellare l’accordo con Tehran. Una curiosità
significativa: il suo recente libro Field
of Figth
(Campo di Battaglia) è stato scritto insieme a Michael Ledeen,
noto esponente neoconservatore con chiacchierati trascorsi nel sottobosco dello
spionaggio, tra i protagonisti dello scandalo Iran Contras Connection negli anni ’80 e acerrimo nemico,
soprattutto negli anni più recenti, della Repubblica islamica iraniana.

Mike
Pompeo

Straordinaria coincidenza l’ultimo tweet
pubblicato dal deputato del Kansas Mike Pompeo prima che arrivasse la notizia
della sua nomina a nuovo direttore della CIA: “Non vedo l’ora di smantellare
questo accordo disastroso con il più grande Stato sponsor del terrorismo del
mondo”. Il cinguettio ha marcato indelebilmente quello che sarà l’indirizzo dei
servizi segreti americani sotto la sua guida. Il messaggio era collegato ad un
articolo del Weekley Standard,
rivista di riferimento dell’area neocon, con un titolo altrettanto emblematico:
“Smantellare l’accordo con l’Iran? Facile”.

Nikki
Haley

Sorprendente la nomina della governatrice del
South Carolina ad ambasciatrice all’Onu, vista la scarsa esperienza in materia
di relazioni internazionali. Tuttavia, i suoi pochi interventi in questo ambito
sono sufficienti ad indicarne l’impostazione di fondo. Il quotidiano israeliano
Haaretz ricorda come, da
governatrice, la Haley sia stata una delle prime a promuovere una legislazione,
insieme all’Illinois, atta ad aggirare il movimento fautore del boicottaggio
contro Israele. Nel contempo, nel 2014, la Haley firmò una legge del South
Carolina che impediva a quello stato di intrattenere rapporti di investimento o
di negoziazione di contratti con compagnie che avessero stretto accordi
commerciali per oltre 20 milioni di dollari con l’Iran nel settore energetico.
L’impatto pratico di tale atto era di scarso significato, ma si trattava
soprattutto di un forte richiamo politico. L’anno successivo firmò una lettera
congiunta con altri governatori repubblicani (tra cui Chris Christie, John
Kasich, Scott Walker) per manifestare al presidente Obama la contrarietà
all’accordo con l’Iran sul nucleare. In tale lettera era scritto: “La revoca
delle sanzioni federali che deriverà da questo accordo si tradurrà solo nella
possibilità per l’Iran di avere più soldi a disposizione per finanziare gruppi
terroristici e attacchi. La gente dei nostri Stati non sarà più sicura come
conseguenza di questo accordo, tanto meno i cittadini di paesi come Israele,
che l”Iran ha minacciato di distruggere”.

Steve Bannon

Lo stratega politico di Donald Trump è finito
nella polemica con accuse di razzismo e antisemitismo. Ciò lo porrebbe in una
condizione di contrasto a politiche tese a favorire Israele nei confronti
dell’Iran. Tuttavia, considerato che le posizioni antisemite sarebbero bilanciate
da quelle anti-islamiche, l’editorialista del quotidiano israeliano Haaretz, Gideon Levy, ha sottolineato
come le posizioni antisemite sono oggi tranquillamente accettate purché si
sposino con un fervente sostegno ad Israele. E così Levy enumera le prese di
posizione a favore di Bannon da parte di numerosi esponenti dell’establishment
americano, da uno dei più celebri ed influenti avvocati ebrei Alan Dershowitz
all’ambasciatore israeliano a Washington Ron Dermer, fino alla potentissima
lobby filoisraeliana AIPAC. Insomma, antisemita sì, purché dalla parte di Israele.

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