di Gianandrea Gaiani*
Lo scenario che si sta delineando in queste ore nel conflitto siriano ricorda da vicino la “pistola fumante” delle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein con cui gli Usa giustificarono agli occhi del mondo l’invasione dell’Iraq nel 2003.
Ci sono infatti molte ragioni per esprimere scetticismo di fronte alla denuncia dell’ennesimo attacco chimico contro i civili siriani attribuito al regime di Damasco nell’area di Douma, ultima roccaforte delle milizie jihadiste filo saudite di Jaysh al-Islam nei sobborghi di Damasco.
Innanzitutto perchè già in passato attacchi simili sono stati attribuiti ai governativi senza che emergessero prove concrete mentre notizie e immagini diffuse oggi dai “media center” di Douma come ieri da quelli di Idlib, Aleppo e altre località in mano ai ribelli sono evidentemente propagandistiche e palesemente costruite.
Lo schema si è già ripetuto più volte fin dalla guerra in Libia del 2011 e poi in Siria: fonti “umanitarie” strettamente legate alle milizie jihadiste e ai loro alleati arabi diffondono notizie non verificabili per l’assenza di osservatori neutrali.
Notizie e immagini di attacchi chimici vengono subito diffuse dalle tv arabe appartenenti alle monarchie del Golfo, cioè agli sponsor dei ribelli, per poi rimbalzare quasi sempre in modo acritico in Occidente.
Basti pensare che in sette anni di guerra la fonte da cui tutti i media occidentali attingono è quell’Osservatorio siriano per i diritti umani che ha sede a Londra, vanta una vasta rete di contatti in tutto il paese di cui nessuno ha mai verificato l’attendibilità, è schierato con i ribelli cosiddetti “moderati” ed è sospettato di godere del supporto dei servizi segreti anglo-americani.
Anche per questo non bastano i cadaveri dei bambini o dei sopravvissuti con mascherine collegate a supposte bombole ad ossigeno per dimostrare l’esito di un attacco chimico e la sua paternità.
Meglio ricordare le immagini diffuse l’anno scorso dei ribelli di Idlib (qaedisti dell’ex Fronte al-Nusra) che mostravano improbabili soccorritori con abiti estivi e privi di protezioni occuparsi di supposte vittime del gas nervino di Assad. Se così fosse stato gli stessi soccorritori sarebbero morti in pochissimi minuti poiché quell’agente chimico viene assorbito anche attraverso la pelle.
A suggerire prudenza prima di attribuire agli uomini di Assad l’attacco chimico a Douma contribuiscono inoltre altre valutazioni. Jaysh al-Islam è una milizia salafita nota per aver impiegato i civili come scudi umani e per aver utilizzato il cloro nelle battaglie contro i curdi dell’aprile 2016.
Il cloro non è un’arma ma un prodotto chimico che può essere letale in forti concentrazioni e in ambienti chiusi, facilmente reperibile e già utilizzato nel conflitto siriano anche dallo Stato Islamico.
I miliziani dispongono quindi da tempo dello stesso aggressivo chimico e non è difficile ipotizzare, a Douma come in tanti altri casi incluso quello di Khan Sheykoun l’anno scorso, che siano stati gli stessi ribelli a liberare cloro ad alta concentrazione per uccidere civili e attribuirne la colpa a Damasco puntando così a incoraggiare una reazione internazionale contro il regime di Assad.
Del resto fu il presidente Barack Obama, nel 2013, a indicare nell’uso di armi chimiche da parte delle forze di Assad, quel “filo rosso” che avrebbe scatenato un intervento americano e non a caso ieri Trump ha accusato il suo predecessore di non aver chiuso i conti allora con Assad, definito “un animale”.
Il presidente siriano è certo uomo senza scrupoli ma non ha alcun interesse a usare armi chimiche che sono, giova ricordarlo, armi di distruzione di massa idonee a eliminare migliaia di persone in pochi minuti non a ucciderne qualche decina: per stragi così “limitate” bastano proiettili d’artiglieria e bombe d’aereo convenzionali.
Assad sta ripulendo le ultime sacche di resistenza in mano ai ribelli jihadisti e sta evacuando i civili dalle zone di combattimento: perché dovrebbe scatenare la riprovazione internazionale proprio mentre sta per cacciare i ribelli anche da Douma? Perché dovrebbe colpire quei civili che i suoi uomini stanno evacuando, per giunta dopo un accordo raggiunto con i miliziani di Jaysh al-Islam che consentirà il loro trasferimento forse in un’area vicina a Jarablus, al confine con la Turchia?
Il fatto che ieri Israele abbia invocato un attacco militare statunitense contro Damasco (conducendo poi un raid aereo contro la base T-4), vicina a Palmyra, con missili lanciati dallo spazio aereo libanese) e Trump abbia accusato anche Russia e Iran in nome di un attacco chimico che nessuna fonte neutrale ha potuto finora verificare, induce a ritenere che ci troviamo di fronte all’ennesima operazione propagandistica messa a punto usando lo spauracchio delle armi chimiche.
Washington infatti non ha escluso azioni militari contro Damasco caldeggiate anche da Parigi (che potrebbe partecipare a eventuali raid punitivi) mentre la Russia ha messo in guardia gli Usa contro un “intervento militare per pretesti inventati” in Siria, che potrebbe “portare a conseguenze più pesanti”.
La cautela dovrebbe quindi essere d’obbligo, specie dopo la figuraccia rimediata dal ministro degli Esteri britannico Boris Johnson che sulla responsabilità russa nel “caso Skripal” è stato smentito dal direttore dei laboratori militari di Sua Maestà.
Tra l’altro la denuncia dell’attacco chimico a Douma sembra cadere a proposito per scoraggiare il ritiro delle forze americane dalla Siria settentrionale e orientale, annunciato da Trump dopo il fallimento del proposito della Casa Bianca di far pagare ai sauditi qualche miliardo di petrodollari per finanziare le operazioni dei militari americani.
Il ritiro dei 2mila americani rischia però di lasciare carta bianca alle truppe turche nel nord del Paese e a quelle di Damasco nell’est, per questo oltre agli arabi e agli israeliani anche il Pentagono si oppone alla decisione annunciata da Trump.
Forse il presidente potrebbe essere costretto a cambiare idea di fronte all’indignazione dell’opinione pubblica e della comunità internazionale per i bambini uccisi dal cloro di Assad, “l’animale” alleato di russi e iraniani per il quale Trump minaccia una punizione esemplare.
Foto: AP, Die Welt, Douma Media Center e SANA
* Gianandrea Gaiani è ato a Bologna, dove si è laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 ha collaborato con numerose testate occupandosi di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportages dai teatri di guerra. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Collabora con i quotidiani Il Sole 24 Ore, Il Foglio, Libero, Il Mattino, Il Messaggero e Il Corriere del Ticino, con i settimanali Panorama, Gente e Oggi. Collabora con università e istituti di formazione militari ed è opinionista delle reti tv RAI, RSI, Mediaset, Sky, La7 e radiofoniche Rai, Capital e Radio24. Ha scritto “Iraq Afghanistan – Guerre di pace italiane” ed è coautore di “Immigrazione: tutto quello che dovremmo sapere”.
Link articolo: Siria: le “fake news” sulle armi chimiche per creare il casus belli?