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Dalla "profonda" Russia per riflettere

Risposta a una lettera molto critica che viene dalla Russia. [Giulietto Chiesa]

Dalla "profonda" Russia per riflettere
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24 Settembre 2018 - 07.19


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di Redazione

 

Mi ha scritto una affezionata lettrice russa, che mi legge dalla profonda, davvero “profonda” Russia. Non metto la sua firma, per la sua sicurezza, né il luogo dove abita. Ma è una lettera severa, anche per me critica, che ritengo opportuno pubblicare e alla quale rispondere, sia di fronte ai miei lettori italiani che a quelli russi. In primo luogo perché riconosco le sue ragioni critiche nei miei confronti, in secondo luogo perché credo che le cose che lei mi dice siano purtroppo vere. Come lo sono i processi degenerativi anche da noi. Serve fermarsi un momento per riflettere. Anche per questo motivo la pubblichiamo. (g.c.)

 

 

Caro Giulietto,

il tuo ultimo intervento su Radio Padania mi ha reso molto triste. Perché mi sono resa conto di come il tuo giudizio sulla Russia intera sia influenzato da ciò che vedi a Mosca. E anche di quanto questa Mosca benestante sia completamente disinteressata a ciò che succede nel resto del paese. Io non so nulla di questa nuova generazione di intellettuali perché il nostro eroe principale, da queste parti,  è il delinquente marginale, che ruba e non fa niente di niente. E le leggi lo difendono. E sul loro esempio si forma la nuova generazione (vorrei che tu vedessi e sentissi come ragazzi e ragazze, giovanissimi, parlano tra loro, con un linguaggio dove altro non c’è che la più bassa volgarità. Perché non conoscono altro linguaggio che quello). Tutto ciò mentre le persone normali sono ormai minoranza, e per loro non esiste alcun ordine pubblico, nemmeno l’elementare sicurezza, poiché chiunque voglia può infierire su di loro.

Soprattutto non c’è all’orizzonte alcuna prospettiva, non c’è luogo o occasione dove ognuno possa impiegare le sue forze e energie intellettuali. Non c’è posto per realizzare semplicemente il proprio desiderio di fare qualche cosa che abbia un senso, un’utilità, per la quale sacrificare se stessi.

E questo non accade soltanto nella mia piccola città. Anche nel capoluogo più vicino alla piccola città in cui vivo  è difficilissimo incontrare qualcuno che riesce a trovare un posto di lavoro che corrisponda alle sue capacità e alla sua professione. Io, per lo  meno, di queste persone non ne conosco nemmeno una.

Avverto perfino fisicamente come nella società cresce la stanchezza e l’insofferenza. Nessuno è però in grado di esprimere l’una e l’altra cosa in forme civilizzate. Voi, per esempio, avete eletto un nuovo governo (non so quanto sia solido, ma esso c’è ed è un fatto). E ho notato con quale energia il ministro Toninelli ha parlato della “nostra infelice Italia”. Ti risulta che qualcuno del nostro governo abbia mai pronunciato qualcosa di simile alla “nostra infelice Russia”? Da noi si sentono soltanto lodi sperticate di grandi successi. E tu puoi immaginare qualcosa di simile dalle nostre parti? E la gente, in occidente, può manifestare e protestare, mentre da noi non può. Forse perché non abbiamo idea di cosa sia la società civile, o forse semplicemente per la sensazione che “tutto è inutile, e che in ogni caso loro faranno come gli pare”.

Potrei raccontarti le chiacchiere che sento al lavoro e per strada, ma sarebbe troppo lungo. Negli ultimi tempi l’insofferenza si va dirigendo non solo contro i burocrati in generale ma anche contro Putin (al quale in un certo senso molto veniva perdonato, anche perché da noi è ancora forte l’esigenza di uno “zar buono”).

E può accadere qualche cosa di imprevisto e terribile. Probabilmente tu non mi crederai se ti dico che Putin non resterà al suo posto fino alla fine del mandato. E ho una grande paura che la Russia non sopravviva a un’altra rivoluzione. “Che Dio non ci costringa a essere testimoni della rivolta russa, insensata e senza pietà”. Non ci resta che sperare in Dio, in un miracolo, ma “il miracolo non avviene per coloro che nulla fanno per andargli incontro. Né per quelli che ci credono poco”. Vorrei che tu dedicassi più tempo a parlare con il nostro popolo, per farti meglio apprezzare, anche se penso che la platea italiana è al primo posto per te e così è giusto che sia.

 

***

 

Cara amica,

penso che la tua descrizione dei fatti sia purtroppo molto vicina alla realtà. E, per questo, la voglio far conoscere ai miei lettori, sia a quelli italiani, sia a quelli russi.

Non so se lo siano anche le tue previsioni circa il futuro. Per quel poco che so del popolo russo, penso che il “bunt”, la rivolta, sia molto lontana. La vostra pazienza secolare ha impedito che essa si affacciasse molte volte. Io, di “bunt” ne ho visto uno solo: quell’immensa protesta di popolo, a Mosca, nell’ottobre 1993, che precedette il bombardamento della Casa Bianca, deciso da Boris Eltsin, con il successivo massacro di cui nessuno parlò. E, come sappiamo, per quanto immensa fosse quella folla, la rivolta non andò a finire bene.

Ma non c’è nessun dubbio che la politica interna della Russia stia andando assai male. Come non c’è dubbio che la distanza tra l’élite moscovita e pietroburghese e le masse popolari sia in crescita geometrica; che la corruzione sia dilagante; che la solidarietà sia in calo verticale; che la cultura stia degradando, così come l’istruzione; che la fiducia dei cittadini nelle istituzioni dello Stato sia ormai logorata. La democrazia non ha fatto passi avanti rispetto al momento in cui iniziò la perestrojka, sollevando grandi speranze in milioni di persone. Questo lo vidi con i miei occhi.

Ma questo distacco dalle masse, che il potere non fa nulla per riempire è, anche per me, fonte di grande preoccupazione. Io sono ospite e straniero in Russia, e penso che la Russia, se vuole risolvere i suoi problemi, debba in qualche modo essere di esempio al resto del mondo. Debba, in primo luogo, ridurre la disuguaglianza sociale, impedire che la degenerazione consumistica e intellettuale, e morale, entri nel suo corpo con gli effetti devastanti. Per altro, in questo senso, identici a quelli che stanno investendo tutto l’Occidente.

Nello stesso tempo io so qual è il peso mondiale della Russia. So qual è stato in questi anni il ruolo di pace che, con Putin, essa ha svolto. Per questo ho appoggiato e appoggio la ragionevolezza delle sue prese di posizione, politiche a pratiche. Penso che, senza la Russia e il suo ruolo deterrente, il mondo sarebbe già assai più vicino a una guerra gigantesca e definitiva. E tuttavia il mio consenso finisce sui confini della politica estera della Russia. Il sistema sociale che è emerso dalla contro-rivoluzione etsiniana è stato un gravissimo passo indietro, al quale fino ad ora non è stato posto rimedio.

La democratizzazione, nelle forme “russe” che essa non potrebbe non avere (non certo scimmiottando la democrazia “elitaria” che oggi domina l’Occidente) sarebbe indispensabile per ricostruire un rapporto decente tra dirigenti e diretti, e per aiutare il formarsi di una società civile moderna, da cui emergerebbero forze intellettuali e morali certo più sane dei “marginali (in ogni senso) che tu descrivi. Di questo, come vedo e come tu denunci, non c’è traccia.

Credo, per quanto mi riguarda, di essere involontariamente caduto — raccontando la Russia in questi ultimi anni —  nell’errore che invece non commisi durante i miei venti anni come corrispondente dall’URSS e poi dalla Russia: quello di pensare che la “vetrina” corrispondesse al paese.

Non è così. Penso di aver commesso questo errore confondendo e mettendo sullo stesso piano due cose assai distinte. Come, appunto, la politica estera e quella sociale interna. Volendo sostenere la prima posso avere dato l’impressione di appoggiare anche la seconda. Con questa mia risposta pubblica intendo ristabilire la differenza.

 

 

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