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Genealogie del presente

Un estratto dal "Preludio" del libro appena uscito per Mimesis, "Genealogie del presente. Lessico politico per tempi interessanti". [F. Zappino, L. Coccoli, M. Tabacchini]

Genealogie del presente
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2 Giugno 2014 - 10.30


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di Federico Zappino, Lorenzo Coccoli e Marco Tabacchini

Pare che un’antica maledizione cinese – richiamata di recente con indubbia suggestione nel titolo di un libro di Slavoj Zizek e, ancora prima, in quello dell’autobiografia di Eric Hobsbawm – auguri ai propri nemici di «vivere in tempi interessanti».

Cosa sono i tempi interessanti? Tempi caotici, mutevoli, sfuggenti. Tempi di depressione, di crisi, di povertà – tempi in cui gli antichi dèi sono fuggiti e quelli nuovi ancora tardano a fare il loro ingresso; in cui i punti d’appoggio consueti sfuggono alla presa e tutto ciò che è solido si dissolve nell’aria.

Un’immagine potente. Un’immagine, soprattutto, che sembra rappresentare alla perfezione il passaggio storico che stiamo attraversando. Ma attenzione a lasciarsene irretire. Ogni rappresentazione, per essere veramente tale, richiede di essere contestualizzata in un determinato regime di senso, un preciso ordine del discorso che le conferisca intelligibilità e verosimiglianza. In altri termini: si badi a non trasformare un effetto di potere in una condizione oggettiva, in un orizzonte destinale. Anche il disordine e lo spaesamento, per quanto possa sembrare paradossale, devono essere decostruiti.

Nell’ultimo mezzo secolo abbiamo assistito a mutamenti epocali nella costituzione materiale della realtà istituzionale, economica e sociale: su tutti, la crisi della mediazione e della rappresentanza; l’affermarsi del paradigma postfordista e di politiche neoliberali (e neoliberiste); infine, la progressiva erosione del progetto egualitario, che pur non essendone l’unico fattore, inevitabilmente confluisce nella progressiva erosione del progetto storico della sinistra. Mutamenti che hanno indubbiamente indotto un forte disorientamento tanto nella teoria quanto nelle pratiche politiche.

Cionondimeno, non saremo così sprovveduti da ritenere che tutta l’entropia del nostro mondo abbia cause, per così dire, “naturali”. Ciò a cui assistiamo, piuttosto, è la creazione artificiale di un surplus di confusione come instrumentum regni, attraverso cui governo della crisi e governo del linguaggio sembrano coincidere: un accecamento indotto al fine di spostare l’attenzione e la sensibilità politica sul terreno di conflitti immaginari, consentendo il mobilitarsi, di volta in volta, e secondo geometrie variabili, di popoli e fronti antagonistici diversi.

I “tempi interessanti” sono costitutivamente ambigui. Sono maledizione, e al contempo augurio. La maledizione ci espone al rischio costante della falsa coscienza, del [i]trompe-l’oeil[/i] dell’ideologia, tanto più ingannevole nel momento in cui la forma oggi dominante dell’ideologia è quella che sancisce la fine di tutte le ideologie, celandosi dietro alla tecnica e alla presunta oggettività dei saperi economici.

L’augurio ci invita invece a non sottovalutare il potenziale di rinnovamento che pure abita i tempi interessanti, la loro ostilità alla sclerosi delle ortodossie e alla fissità delle tradizioni etico-politiche: un kairós, che è soprattutto occasione per dotarsi di altre categorie di analisi, per liberarsi di quelle rese inservibili, per ricalibrare quelle fuori asse, per ri-significare quelle de-significate.

Genealogie del presente vuole allora assumere una postura diversa sul contemporaneo. Una postura che tenti innanzitutto di portare un contributo all’esigenza, in questo momento particolarmente diffusa, di strumenti di comprensione che siano al contempo strumenti di lotta.

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