Una spiritualità laica per salvarci dalle insidie del Minotauro | Megachip
Top

Una spiritualità laica per salvarci dalle insidie del Minotauro

'Un invito alla lettura del nuovo libro di Paolo Bartolini ''Desiderio illuminato e spiritualità laica. La radice cristiana per una fede non dogmatica'' [S. Tagliagambe]'

Una spiritualità laica per salvarci dalle insidie del Minotauro
Preroll

Redazione Modifica articolo

28 Marzo 2017 - 20.31


ATF

Un invito alla lettura del nuovo libro di Paolo Bartolini
“Desiderio illuminato e spiritualità laica. La radice cristiana per una fede
non dogmatica”

di Silvano Tagliagambe.

Abitare
il “tra”: questo è il principio epistemologico ed etico che mi accomuna al
denso e interessante libro di Paolo Bartolini. La radice cristiana per una fede non dogmatica, la cui
ricerca è alla base del Desiderio
illuminato
dell’autore di esplorare i possibili percorsi di confronto con
la Spiritualità laica. Desiderio che
fa i conti, innanzi tutto, con
l’imprescindibile esigenza di ripensare il nostro universo culturale per
renderlo disponibile ad accogliere ciò che di vitale e positivo può provenirci
da fuori.

Ed
è qui che emerge tutto l’enorme potenziale di conoscenze e azione insito nel
concetto di spazio intermedio, di cui
troviamo un’espressione diretta nel Vangelo quando Gesù dice «Perché dove sono
due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt. 18,20), passo
nel quale quel “in mezzo a loro” può essere tradotto anche con “tra loro”, appunto.

Ma
è soprattutto nel pensiero-linguaggio cinese, come osserva il filosofo Francois
Jullien, il quale consacra da anni la sua vita al confronto con questa cultura,
che si ha una valorizzazione di questo tipo di spazio: «Propriamente parlando
il tra non “è”. Come si potrà dirne
“qualcosa”, se non negativamente? È per questo che i greci, avendo gli occhi
fissi sugli opposti determinati, […] i soli definiti con tratti marcati di
“essere”, non hanno riconosciuto alcuna capacità al “tra”, inconsistente come
appare; di conseguenza, non l’hanno pensato. L’hanno osservato solo secondo ciò di cui esso è il tra ed è solo quel
“ciò di cui” a essere qualificato. Hanno quindi pensato la presenza o l’assenza, l’una come alternativa
dell’altra, sua contraddittoria; oppure il vuoto o il pieno, la mancanza o la
soddisfazione».

Il
pensiero cinese, diversamente, fa del “tra” un catalizzatore di vita senza
impigliarsi nella logica degli estremi antagonisti:  «Al contrario il tao, la “via”, dice quel tra
che non si lascia determinare in alcun modo, ma che non cessa di lasciar
passare, in cui si può “evolvere” con agio; lì non si versa mai fino a riempire
né si attinge fino a esaurire, né si satura né si priva; al tempo stesso si
ritirano gli stadi estremi, drammatici, della mancanza (stadi dolorosi) e della
pienezza (stadi noiosi). […] Nel continuo scambio, in cui uno stadio chiama già
l’altro, evitando gli stati insostenibili, disgiuntivi, del vuoto e del pieno
assoluti, la respirazione non è forse ciò che tiene effettivamente nel tra dell’attività e della tensione che
rigenera? La respirazione, che il pensiero cinese ha pensato prioritariamente,
costituisce l’argomento più risoluto contro il blocco nell’una o nell’altra
delle posizioni contrarie, dell’agitazione che consuma e logora, o della quiete
inerte. […] Vita e morte, che ci colpiscono per il loro evento, non “sono”, a
dire il vero, che per far apparire questo tra
presente e senza margini, solo esistente».

Commenta
Bartolini: «È lasciandoci interrogare dal Fuori di un pensiero-linguaggio
decisamente “altro” per noi occidentali che scopriamo fino in fondo il potere
dello Spirito, riconoscendo quanto di vitale va perduto nel far coincidere la
realtà con una Sostanza, con un Essere, con qualcosa di statico che, reclamando
una sussistenza interminabile, non lascia più passare, cancella il “tra” e con
esso il soffio che anima il Tutto».

Per
utilizzare pienamente le enormi potenzialità insite nel “tra” e nel concetto di
spazio intermedio occorre inserire nel discorso un altro tassello fondamentale
e imprescindibile. Si tratta di un passaggio messo in rilievo già nel 1967 da Joseph
Ratzinger, nel ruolo, che allora ricopriva, di docente di teologia, durante un
corso di lezioni tenuto a Tübingen (pubblicato sotto il titolo Einführung in das Christentum). Concepire
Dio come Trinità, egli affermava, fa sì che «la supremazia assoluta del
pensiero accentrato sulla sostanza viene scardinata, in quanto la relazione viene scoperta come modalità
primitiva ed equipollente del reale. Si rende così possibile il superamento di
ciò che noi chiamiamo oggi ‘pensiero oggettivante’, e si affaccia alla ribalta un nuovo pensiero dell’essere. Con ogni
probabilità bisognerà anche dire che il compito derivante al pensiero
filosofico da queste circostanze di fatto è ancora ben lungi dall’essere stato
seguito, quantunque il pensiero moderno dipenda dalle prospettive qui aperte,
senza le quali non sarebbe nemmeno immaginabile»[1].

Quello
che è certo è che, oggi, anche la scienza sembra andare in questa direzione di
riconoscimento del carattere primario della relazione rispetto alle idee di
sostanza e di proprietà. Se prendiamo, ad esempio,
la fisica, che ha costituito la disciplina scientifica di riferimento del
paradigma fin qui analizzato, troviamo affermati, a proposito degli sviluppi
determinati dallo studio del mondo microscopico, con la meccanica quantistica,
ma anche dell’universo nel suo complesso, con la cosmologia quantistica,
principi che provo a elencare, sintetizzandoli e ovviamente schematizzandoli
proprio per dare almeno un’idea approssimativa della rivoluzione teorica in
atto:

1. Le relazioni danno origine alle cose e non viceversa (118)

2. Lo spazio fisico è il tessuto risultante di una trama di
relazioni. Le cose non abitano lo spazio, abitano l’una nei paraggi dell’altra
e lo spazio è il tessuto delle loro relazioni di vicinanza (152-153);

3. Le cose cambiano solo in relazione l’una all’altra (159);

4. Per poter pensare il mondo è indispensabile una struttura
concettuale di riferimento (184);

5. Il mondo è una rete di correlazioni e di reciproche
informazioni tra sistemi fisici (211);

6. Un sistema fisico si manifesta sempre e soltanto interagendo
con un altro. Quindi la descrizione di un sistema fisico è sempre data rispetto
a un altro sistema fisico, quello con cui il primo interagisce. Qualunque
descrizione dello stato di un sistema fisico, di conseguenza, è sempre una
descrizione dell’informazione che un sistema fisico ha di un altro sistema
fisico, cioè della correlazione fra sistemi;

7. Non esistono stati di cose che non siano, esplicitamente o
implicitamente, riferiti a un altro sistema fisico. Per comprendere la realtà è
necessario tener presente che ciò cui ci si riferisce, quando parliamo di essa,
è strettamente legato a questa rete di relazioni, di informazione reciproca,
che tesse il mondo. La rete non è fatta di oggetti. È un flusso continuo e
continuamente variabile. In questa variabilità stabiliamo dei confini che ci
permettono di parlare della realtà. Pensiamo a un’onda del mare. Dove finisce
un’onda? Dove inizia un’onda? Chi può dirlo? Eppure le onde sono reali.
Pensiamo alle montagne. Dove inizia una montagna? Dove finisce? Quanto continua
sotto terra? Sono domande senza senso, perché un’onda o una montagna non sono
oggetti in sé, sono modi che abbiamo di dividere il mondo per poterne parlare
più facilmente. I loro confini sono arbitrari, convenzionali, di comodo. Sono
modi di organizzare l’informazione di cui disponiamo o, per meglio dire, forme
dell’informazione disponibile (220-221);

8. Sotto questo aspetto non c’è poi quindi tanta differenza tra
la realtà fisica e la natura di un uomo, che non è data dalla sua conformazione
fisica interna, ma dalla rete di interazioni personali, familiari e sociali in
cui esiste. In quanto “uomini”, noi siamo ciò che noi stessi conosciamo di noi
e ciò che gli altri conoscono di noi. Siamo complessi nodi in una ricchissima
rete di reciproche informazioni (223);

9. Tutto questo non è una teoria. Sono tracce, sulle quali ci
stiamo muovendo per cercare di comprendere di più del mondo intorno a noi
(223).

I numeri tra parentesi dopo ogni singolo punto si riferiscono
alle pagine di un bellissimo libro dal quale ho tratto questo elenco 
[2]. Si
tratta dell’opera di Carlo Rovelli, un fisico, creatore di una delle principali
linee di ricerca in gravità quantistica (dirige il gruppo di ricerca in questo
campo dell’università di Aix-Marsiglia) che è tra i ricercatori più attenti
alle implicazioni filosofiche dell’indagine scientifica.

Ognuno può misurare la distanza di questo secondo paradigma, di
cui sono stati appena riassunti i principi ispiratori e i cardini, rispetto a
quello meccanicistico. Quest’ultimo procede dalle parti al tutto, secondo uno
schema tipicamente bottom-up, dal basso all’alto. L’alternativa che emerge
dagli sviluppi della fisica contemporanea, in particolare della meccanica e
della cosmologia quantistiche, procede invece dal tutto alle parti, secondo un
andamento top-down, dall’alto in basso, dal tutto alle parti, per cui possiamo
riassumerne l’idea portante dicendo che dobbiamo fin dall’inizio avere un’idea
generale del funzionamento dell’intero sistema, prima di esaminarlo in
dettaglio. Il rovesciamento di prospettiva non potrebbe essere più chiaro e
netto.

Assumere questo tipo di ontologia, osserva Bartolini, consente per ogni soggetto che lo desideri, di
ascoltare il richiamo dello Spirito assumendo rispetto a esso una postura
esistenziale a-duale, consapevole della relazione vitale che lega ciascuno di
noi al proprio ambiente e lo apre a un Sacro misterioso, ricco di potenziali
creativi. In questo modo si può disporre dei presupposti teorici necessari per
raccogliere l’invito di Carlo Sini, il quale, partendo da un originale
“pensiero delle pratiche” e muovendo da un materialismo non dogmatico, invoca
una nuova arte della vita che sfoci nella cura condivisa della casa di tutti:
il nostro pianeta.

Il “tra”
è però anche lo strumento concettuale, prima ancora che linguistico, che ci
consente di impostare in termini diversi dall’usuale dualismo il rapporto tra
corpo e mente. Qui il discorso di Bartolini lega analisi filosofica e
dimensione religiosa prendendo spunto, per rappresentare in modo alternativo questo
rapporto, dalla croce, i cui «due assi rimandano (per coincidenza o segreta
assonanza?) alla dimensione verticale e a quella orizzontale della vita umana.
Sull’asse verticale la relazione in gioco è quella tra Uno e Bino, dove una
mente personale prova a organizzare il marasma sensoemotivo che affonda le
radici nella fisicità dell’individuo; sull’asse orizzontale la relazione vede
come protagonisti il soggetto e gli altri esseri umani che, mediante il loro
riconoscimento, lo mettono in condizione di badare ai propri bisogni e di
accrescere la conoscenza di sé». A dare consistenza e spessore a questo asse
orizzontale è stato soprattutto Wilfred Bion, il cui contributo pionieristico
alla creazione di un’auspicabile etica del riconoscimento viene così illustrato
da Roberto Finelli: «Il pensiero nasce perciò, alla sua origine, come “eclissi
del corpo”: quale capacità cioè di contenere e dare ordine alla molteplicità,
confusa e rapsodica, come scrive A.B. Ferrari, delle sensazioni ed emozioni che
invadono dall’interno il corpo, dal momento in poi della nascita. Deve cioè
essere in grado, con una presa di distanza, di dare un nome e una
rappresentabilità alla tensione emozionale che nasce da quel “primigenio
principio generatore di vita” che è il nostro corpo, pena l’intensificazione e
il dominio della percezione sensoriale che toglierebbe ogni capacità di dar
forma e ordine al mondo interno di ciascuno. Ma è […] l’opera di Bion che,
approfondendo l’impianto freudiano, ha consentito di comprendere che questo percorso
sull’asse verticale di costituzione dell’essere umano – questa accensione di un
dialogo tra corpo e mente – non si dà, se la mente gracilissima e impotente del
bambino dell’uomo non venga prima accolta e contenuta da un’altra mente (quella
della madre o di chiunque ne faccia le funzioni), che possa sentire e definire dentro di sé i bisogni e le emozioni di quella mente, per
restituirglieli, smorzati di urgenza e di terrore, e configurati all’interno di
un campo concreto di soddisfacimento. L’asse
verticale del riconoscersi
, quale relazione mente-corpo emozionale, non si
costituisce cioè senza l’asse orizzontale
del riconoscimento
, attraverso il quale la mente dell’altro porta dentro di
sé la mia mente, consentendole di raffreddare l’emozione e di avviare un
dialogo con la propria affettività».

È ancora il “tra“, infine, a
consentirci di sondare la relazione sfuggente tra il visibile e l’invisibile,
evitando che tra questi due mondi si frapponga un confine inteso come linea di
demarcazione invalicabile, con conseguente profonda scissione tra la fede e la
ragione. È stato soprattutto Pavel Florenskij a esplorare questo confine,
questo spazio intermedio di contatto, proponendo quel concetto di luminosità
interiore che F. Malcovati rende correttamente con “translucidità”. La
translucidità, ovvero quel grado di trasparenza di un corpo che consente di
distinguere approssimativamente la forma, ma non i contorni, di un oggetto
posto dietro di esso, è la condizione tipica della realtà di confine, vale a
dire di tutto ciò che, pur essendo estraneo alla coscienza, è tuttavia capace
di entrare in un qualche tipo di relazione con essa, dimostrata dal fatto che è
comunque in grado di far risuonare e produrre significati al suo interno, anche
se, ovviamente, non in modo immediato, ma attraverso un prolungato lavorio di
scavo e di approfondimento.

Facendo proprio questo concetto
Bartolini si chiede quale ambito dell’esistenza umana permetta di vivere con
maggiore intensità questa verità translucida, l’intuizione di un’ulteriorità
che si dona solo a chi veramente l’ha cercata con tutto se stesso/a. Una
risposta convincente è data, a suo giudizio, dalla penetrazione reciproca dei
corpi e delle anime che l’amore rende possibile. L’incontro amoroso inaugura
spazi di intimità nei quali ogni fase del nostro essere (fisico-chimica,
biologica, psichica e spirituale) vibra in assonanza con le altre. Certo «non
mancano qui lacerazioni e fratture, veri e propri peccati che, sul punto di
confine, tradiscono la promessa di trascendenza insita in ogni relazione»:
eppure, conclude l’autore «la mia sensazione è che nel desiderio di unione e
riconoscimento prefigurata dall’amore si esalti un’esperienza di saggezza
irrinunciabile per coloro che hanno sentito almeno una volta il richiamo dello
Spirito». Si tratta di una prospettiva che fa propria e riprende anche per
quanto riguarda questo aspetto la lezione di Florenskij, il quale non a caso dedica
all’amicizia e all’amore l’undicesima delle dodici lettere in cui si articola
il suo capolavoro La colonna e il
fondamento della verità
, la più importante e originale delle opere di
teologia della religione ortodossa. Qui troviamo scritto che: «L’attività
spirituale nella quale e per la quale è data la conoscenza della “colonna della
verità” è l’amore» [3]

Questo amore va inteso certo in modo spirituale, ma non solo, in quanto «la
“comunità” dell’amore non deve limitarsi a un’idea astratta ma esige
assolutamente manifestazioni sensibili e concrete fino allo “stretto” contatto
compreso» [4].

Fondamentale per capire il significato
e il valore di questo contatto inteso anche come desiderio sessuale è la
profonda riflessione di Romano Màdera in un libro ispirato ad Epicuro: «L’importanza
decisiva del desiderio sessuale sta [nella] ripresa del riconoscimento materno,
trasformato in età adulta nel riconoscimento dell’alterità nell’unità
fondamentale della specie. Momento nel quale l’unità di due differenti
desideri, pienamente autonomi e coscienti, cerca il completamento, e in esso ricrea
– col concepire – l’unità superiore della specie. Che maternità e paternità non
siano, e non debbano essere forzatamente, risultati concreti dell’amore, non
toglie che l’amore sessuale sia naturalmente ordinato alla riproduzione né che,
psicologicamente, la figura del terzo, in quanto risultato del rapporto e del
reciproco riconoscimento dei due, sia presente, in modo più o meno consapevole.
Il figlio carnale non è, per questo modo di vedere, più del figlio simbolico.
In questo senso, l’amore sessuale riprende l’amore originario e ridiventa
l’amore originario: esso è giustamente il simbolo dell’inizio e della fine, il
circolo del compimento» [5].

Poco oltre Màdera aggiunge,
condensando in poche righe una consapevolezza maturata al crocevia tra
psicoanalisi, filosofia e spiritualità, che «[…] l’amore non può essere
imprigionato nell’amore sessuale, in quello familiare o amicale, che l’amore ha
una vita transpersonale. In fondo, oggi credo che filosofia e religione non
siano che forme di espressione sempre parziale e irrisolta della vita
transpersonale dell’amore» [6].

L’incontro
con Màdera, che è poi diventato il suo analista, è stato fondamentale per
Bartolini, come egli stesso dichiara, anche per trovare una risposta
convincente al problema della presenza del male e alle ragioni di questa sua
incombente e oppressiva pervasività. Sono state le parole che seguono, infatti,
a dargli un conforto e uno stimolo per mantenere aperta la ricerca di un senso
al crocevia tra materialismo, cristianesimo e “filosofia perenne”:

«[…]
nel mito cristiano la Resurrezione potrebbe indicare […] la liberazione dal
sepolcro di ogni dimensione religiosa ancorata proiettivamente e
concretisticamente a un oggetto supremo, fosse pure l’oggetto Dio pensato come
entità, o personalità, suprema. Un intendimento spirituale comprenderebbe così
la permanenza della morte e del male, anche dopo la rivelazione compiuta,
poiché non si tratterebbe affatto dell’eliminazione della morte e del male in
quanto realtà naturali e culturali, ma del trascendimento del loro significato
– cioè, in apparente paradosso, la liberazione dalla morte e dal male finisce
per manifestarsi come la loro piena accettazione e, con ciò, la loro
trasfigurazione. Lo Spirito infatti non è qui o là, non è questo o quello – proprio
perché è anche qui e là, è questo e anche quello. Persino la contraddizione tra
natura e spirito può essere superata. Si può infatti dire che tutto è natura.
Ma che la cultura cura e guarisce la natura, generando nella storia uno spirito
che è così prezioso, strano e irriducibile alla genesi dai suoi bisogni
materiali, da poterlo chiamare umano e al tempo stesso divino, per la qualità
[…] della sua capacità di misericordia, di benedizione al di là di ogni
maledizione. Già il fatto che un tale spirito e una tale umanità siano stati
anche soltanto immaginati costituirebbe prova sufficiente della loro
trascendenza. Peraltro anche in biologia si pensa la complessità come insieme
di livelli di organizzazione della materia vivente irriducibili alle loro premesse,
tanto più questo principio deve valere per lo psichico e le creazioni dello
spirito. Sarebbe bizzarro comprendere una cantata di Bach e il suo effetto su
di noi rimanendo sul piano delle leggi fisiche del suono. […] Diciamo
spirituale proprio questo senso di eccedenza volatile, inclassificabile per
qualsiasi scienza, irrappresentabile per ogni culto: in spirito e verità ogni
genere di santuario – anche i santuari della mente – diventa una realtà
trascurabile» [7].

Sulla base di questa esperienza personale
Bartolini ritiene di poter affermare che l’unica cura per la nostra epoca
dominata dagli egoismi, dalle divisioni, dalla paura del fallimento e dalla
tentazione della violenza, è questa comunione tra le persone, che libera il
desiderio dalle catene della ripetizione, stimolata dall’analisi biografica a
orientamento filosofico, la quale, oltre a essere un’originale terapia
dell’esistenza, è un esercizio spirituale volto a promuovere, in chi ascolta e
in chi racconta la propria storia, il riconoscimento di questa “legge più
profonda” che agisce oltre la nostra dimensione egoica. L’incontro tra pratiche
filosofiche e psicologia del profondo esprime al massimo il suo potenziale di
conversione mediante sette forme di trascendenza ben precise:

  1.    la trascendenza
    verso gli altri
    , esplorata nei suoi connotati affettivi, politici;                     
  2.     la trascendenza
    verso il discorso vero
    , da ripensare secondo le coordinate di una verità
    condivisa che rifiuta i tratti dell’universalismo astratto;
  3.     la trascendenza
    verso il mondo
    , tradotta nel rispetto dell’ecosistema e della vita
    materiale che ci consente di “essere”;
  4.    la trasfigurazione
    del negativo
    , che richiede di integrare le ombre nella nostra personalità
    totale senza cedere alla tentazione distruttiva di “negare il negativo”;
  5.     il desiderio
    di desiderio
    , intravisto nella distinzione che viene operata tra un
    desiderio illuminato senza “oggetto” e un desiderio cieco costretto alla
    coazione a ripetere dei piaceri imposti;
  6.     il
    magistero interiore
    , evocato dalla figura-Sé di Gesù Cristo intesa come una
    fonte di saggezza più profonda di qualunque intenzione cosciente;
  7.     l’orizzonte
    mitobiografico, che permette di
    intravedere, dietro alle singole vicende biografiche, un disegno più vasto.

Nella cornice mitobiografica, secondo
Bartolini, ogni esperienza di vita assume un valore esemplare, e lo fa tanto di
più quando, nell’odierna fase neoliberista del capitalismo globale, suggerisce
modi di vivere, amare e consumare che si distaccano, più o meno
consapevolmente, dal mito imperante della crescita quantitativa, della
competizione generalizzata e del potere per il potere.

Su queste basi, così lucidamente
enucleate, viene impostato, in conclusione, il discorso di una spiritualità
laica pensata, dentro l’intelaiatura concettuale ed esistenziale esposta, come
fedeltà alla vocazione trasformativa di sé-con-gli-altri, espressione della
libertà della cultura come origine e destinazione dell’avventura umana.

I contributi in direzione di questo
tipo di spiritualità, che getta un ponte indispensabile tra religioni e
posizioni filosofiche anche molto diverse fra loro, sono molteplici e anche
eterogenei. Ciò che li unisce, a giudizio di Bartolini, è un destino comune: la
vocazione a un’alleanza volta a ristabilire rapporti sociali, con la natura e
con il divino finalmente esenti da costrizione e da violenza.

A partire da questo tipo di
spiritualità può essere proposta una “fede non dogmatica” che mostra, in
ultimo, i seguenti tratti distintivi:

§ 
è
aperta al dubbio (perché la ragione critica preserva il Mistero da un’indebita
oggettivazione e dalla sua fossilizzazione nelle forme storiche codificate
dall’istituzione);

§ 
pensa
alla verità come a un processo relazionale in evoluzione, a una realtà
invisibile e operante che si esprime in figure culturalmente transitorie senza
esaurirsi mai in esse; [8]

§ 
accetta
il conflitto senza mai cedere alla guerra e alla sua logica di distruzione
delle differenze;

§ 
benedice
la Terra e si adopera, in un’ottica di sobrietà e convivialità, affinché le condizioni
per una vita buona siano garantite a tutti gli esseri umani (qualità dell’aria,
dell’acqua, del cibo, dell’accesso all’arte e alla bellezza, del lavoro,
dell’abitazione, delle relazioni umane, della partecipazione democratica);

§ 
non
separa le sfere della contemplazione e dell’azione, valorizzando tanto il
lavoro interiore quanto l’impegno civile;

§ 
ritiene
che la paura della morte non abbia il diritto di diventare la padrona della
vita;

§ 
non
vede la materia come un ostacolo, e piuttosto la onora scorgendo in essa il
tempio dell’Amore invisibile;

§ 
sa
apprezzare la portata dell’esperienza del singolo essere umano, considerando
ogni persona un’espressione unica e irripetibile del gruppo storico di
appartenenza e della Vita nel suo complesso;

§ 
si
avvale di una conoscenza amorosa della Realtà che integra, mediante la forza
evocativa del simbolo, entrambe le forme del pensiero umano (quella
indirizzata, logica, calcolante e quella onirica, analogica, immaginativa);

§ 
è
amica di chiunque la cerchi con tutto se stesso, ma non è proprietà di nessuno.

Una bella lezione di alto valore
morale che fa proprio, interpreta e sviluppa quello che personalmente ritengo
il più alto esempio di imperativo etico proposto nel nostro tempo: l’invito a
un’azione orientata a produrre sempre nuove possibilità per sé stesso e per il
prossimo formulato da Heinz von Foerster [9]
con il suo “agisci sempre in modo di accrescere il numero totale delle
possibilità di scelta”. “Do ut possis dare”, do affinché tu possa dare di più.
Seguendo questa traccia ci si orienta verso una strategia di continua creazione
di possibilità nella quale ogni decisione, ogni azione, ogni comportamento,
attualizza una parte del possibile mentre crea un nuovo possibile. Non, quindi,
il possibile in modo generico e indeterminato, come risultato dell’esclusione
di ciò che è necessario e ciò che è impossibile, ma il possibile come
l’inserimento di ciò che è dato nell’orizzonte delle sue possibili
trasformazioni, concepibili e concretamente realizzabili.

Questo imperativo è importante perché
coglie ed esprime la tendenza fondamentale sia della vita, sia della
conoscenza, in virtù del forte legame che viene sempre più istituito tra di
esse, che vogliono continuamente sperimentarsi, espandersi, calpestare le
frontiere, ridurre le terre di nessuno.

La “vita vivente” e il processo della
conoscenza vogliono proprio questo. Imprevedibilità, invenzione, di
conseguenza, vanno accettate e coltivate con attenzione, garantendo a esse
l’indispensabile ancoraggio alla realtà esistente, al costante confronto con la
quale non ci si può, ovviamente, sottrarre.

Questo imperativo è l’opposto della
apparente virtù del donare. La legge del dono, infatti, è basata sulla logica
simmetrica, insita nel principio di reciprocità, per cui Rab=Rba (la relazione
tra a e b deve essere uguale alla relazione tra b e a, come accade, ad esempio,
nel caso della relazione di “fratello di”). Essa esclude per principio ogni
forma di incremento, di arricchimento delle possibilità in gioco, tutta
racchiusa com’è nell’orizzonte dell’aspettativa dello scambio paritetico, senza
quel guadagno e quella disponibilità a favorire l’accrescimento dell’altro e,
attraverso questo, lo sviluppo complessivo di tutti. Quanto diversa, rispetto a
questo “do ut des”, sia la logica della vita e della conoscenza che si
espandono  e che esigono che ogni cosa
sia messa in condizione di “crescere per forza propria” (“do ut possis dare”),
ce lo dicono con chiarezza tutte le ricerche relative alla struttura interna e
al funzionamento degli organismi viventi e dei sistemi cognitivi, dalle quali
emerge in modo chiaro un’esigenza fondamentale e imprescindibile sia per gli
uni che per gli altri, quella di espandersi e di arricchire continuamente le
proprie possibilità, sperimentando e innovando.

L’incremento
e il potenziamento delle capacità individuali che scaturisce se si segue questo
imperativo è una risorsa inestimabile che va a beneficio della società nel suo
complesso, la quale diventa così un sistema integrato di persone
legate tra loro senza cuciture, senza
fili, da un insieme di relazioni immateriali sì, ma così dense di significato
da consentire loro di orientarsi insieme nel labirinto della vita e di
sostenersi a vicenda, in una rete solidale di mutua cooperazione che
costituisce, al giorno d’oggi, l’unico filo di Arianna che può salvarci dalle
insidie del Minotauro, essere mostruoso e feroce con il corpo della misantropia
e dell’asocialità e il volto dell’avidità e del profitto.

La
fede non dogmatica e la spiritualità laica di cui Bartolini ci dà un esempio
altamente significativo in questo volume ci dicono non solo che cosa, ma come si può fare per mettere in pratica quell’imperativo,
espressione di autentico e disinteressato amore per il prossimo.

Paolo Bartolini,

SGEdizioni, 2017, € 12.

NOTE


[1] J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Queriniana,
Brescia, 19696, pp. 140-141. Ho tratto questa citazione da L. Zak, Verità come ethos, cit., p. 479.

[2] C. Rovelli, La realtà non è come appare. La struttura
elementare delle cose
, Raffaello Cortina, Milano, 2014

[3] P. Florenskij, La colonna e il fondamento della verità, Introduzione
di E. Zolla, Rusconi, Milano1998, p. 460.

[4] Ibidem, p. 507.

[5] R.
Màdera, Il nudo piacere di vivere. La
filosofia come terapia dell’esistenza
Arnoldo Mondadori Editore, Milano
2006, p. 84.

[6] Ivi, p. 88.

[7] R.
Màdera, “L’epoca dello spirito in Gioacchino da Fiore nell’interpretazione di
C.G. Jung”, in G. Kaufman (a cura di), Fra
Cristo e il Sé. Saggi su psicologia analitica e cristianesimo
, Vivarium,
Milano 2009, pp. 169-170.

[8] Sul
rapporto tra la verità e le sue innumerevoli figure storiche si veda, in
particolare, l’opera del filosofo Carlo Sini.

[9] H. Von Foerster H. (1982),
Sistemi che osservano
, tr. it. Astrolabio, Roma, 1987, p. 233.

Native

Articoli correlati