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L'innocenza della scienza

La macchina del mito 4. L’innocenza della scienza. [Sandro Vero]

L'innocenza della scienza
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7 Novembre 2015 - 05.15


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di Sandro Vero

[right] La ragione è sempre uno spazio ritagliato dall’irrazionale, mai definitivamente al riparo dall’irrazionale, ma attraversato da esso, e definito soltanto da determinati rapporti tra fattori irrazionali.[/right]

[right] Gilles Deleuze [/i][/right]

[center]***[/center]

1. La neutralità.

L’idea che la scienza sia neutra – eticamente, ideologicamente e politicamente – è un’idea che affonda le sue radici nell’illuminismo e, più avanti, nel positivismo. Ed è nient’altro che l’idea di una modalità della conoscenza umana che si pone ad un livello più alto, più certo, più razionale rispetto ad altre modalità, quali ad esempio la religione, l’arte o la filosofia. L’equivoco fondamentale consiste nella premessa da cui si parte: tutto ciò che è razionale è migliore, più alto, assoluto, di ciò che invece non lo è. Un equivoco che rivela la natura ideologica di questa premessa: che cioè il razionale e il non razionale siano esclusivi, non sovrapposti, dove c’è l’uno non può esserci l’altro e viceversa.

2. La razionalità scientifica.

La razionalità della scienza, ovvero il carattere oggettivo della sua conoscenza, sembra indubitabile. Ma l’unica certezza che abbiamo è che questa forma di razionalità appartiene all’ambito del metodo scientifico, e di una particolare declinazione della scienza che è quella della cultura occidentale. Ogni azione scientifica, ogni passaggio significativo del fare scienza, ogni singolo esperimento si ancorano ad una precisa procedura – complessa e definita – che corrisponde al metodo scientifico, caratterizzato dalla replicabilità delle condizioni sperimentali, dalla formalizzazione (e dove possibile dalla matematizzazione) dell’impianto sperimentale, dalla corrispondenza al criterio della verifica empirica delle teorie (ovvero la necessità imprescindibile che queste siano formulate in modo da poter essere falsificate), e così via (Cimmino (1994), pp. 69-110 e Pessa (1994), pp. 111-134).

Il metodo è tuttavia solo una parte della scienza, probabilmente quella in cui più facilmente si genera l’equivoco di cui si parlava sopra. Intorno ad esso, agenti sullo sfondo o in profondità, vi è un coacervo di presupposti metafisici, di assiomi indimostrabili, di prospettive epistemologiche, di procedure pratiche, una nebulosa di senso che interroga lo stesso concetto di razionalità, la quale ultima è assediata dal non razionale, ne è contenuta come una sua parte propria. Qui si salda il discorso sulla parzialità del metodo con la determinazione strutturale – in una perfetta sintassi marxiana – del processo scientifico (Fusaro (2014), pp. 158-168). Ciò che fa dire a Deleuze che “sotto ogni ragione cova il delirio, la deriva” (Deleuze e Guattari (2012), p.62), è in uno con la considerazione che tutto, nel capitalismo, è razionale “tranne che il capitale o il capitalismo stesso” (Ivi, p.62).

Una decisa impennata verso l’alto di un’analisi che smette di accarezzare, radente, i suoi oggetti – la scienza, la cultura, l’arte – e si allarga ad accogliere un punto di vista comprensivo:

“Tutte le società sono allo stesso tempo razionali e irrazionali. Sono necessariamente razionali nei loro meccanismi, nei loro ingranaggi, nei loro sistemi di connessione, e anche per il posto che assegnano all’irrazionale. Però tutto questo presuppone codici o assiomi che non sono il prodotto del caso, ma nemmeno intrinsecamente razionali” (ivi, p.62).

I problemi, le questioni che si pone la scienza non sono “razionali”. La scelta della priorità di un problema o di un altro non è razionale, dipendendo da una gerarchia, storicamente data, di bisogni. Da questi, a loro volta, sorgono le domande fondamentali cui la scienza, in un determinato momento storico e in una determinata realtà sociale, cerca di dare risposte. La selezione di una teoria scientifica fra le tante possibili, prima ancora che attraverso la verifica empirica si fa attraverso l’applicazione di modelli – conoscitivi ma anche valoriali – che non sono direttamente “sperimentabili”. Si fa cioè aderendo a quello che Kuhn definisce un paradigma (Kuhn (1979)).

Sembra possibile tracciare un percorso, ovviamente non esaustivo, che lega quattro Autori che a diverso titolo hanno interpretato l’esigenza di tracciare un confine, stabilire un limite, contestualizzare la prorompenza della razionalità scientifica: Popper (Popper (2010)), e la sua “inversione” epistemologica dalla verificabilità alla falsificabilità; Kuhn (Kuhn, cit.) e la “storicizzazione” del processo scientifico; Feyerabend (Feyerabend (2013)), e la sua “liberazione” della scienza dalla gabbia di un unico metodo; Gödel (Gödel (1931); si veda anche Nagel-Newman (1992); Berto, cit.; Hofstadter (1984)), e la statuizione dell’insufficienza strutturale di ogni teoria – anche la più formalizzata – rispetto alla dimostrazione, mediante i suoi stessi mezzi, della propria coerenza.

La traiettoria disegnata propone una sostanziale erosione della monoliticità del mito della scienza, attraverso la delineazione di un contorno concettuale che assegna ad essa una collocazione più critica, definita, storica.

3. Popper e l’inversione.

La preminenza del modus tollens, rispetto alla pretesa che il criterio operativo oltre che logico della procedura scientifica sia quello fornito dal modus ponens, potrebbe rappresentare la principale traduzione (e semplificazione) simbolica dell’insegnamento popperiano: dalla logica di primo grado, o proposizionale, sappiamo che gli unici due schemi “validi”, cioè sempre veri (qualunque interpretazione semantica si assegni ad essi), sono:

– L’affermazione dell’antecedente (modus ponens, MP)

– La negazione del conseguente (modus tollens, MT)

Il ragionamento è il seguente:

MP: dato [i]p→q[/i] (implicazione materiale), dalla “verità” di [i]p[/i] possiamo dedurre la “verità” di [i]q[/i].

Più estesamente e formalmente:

[b]((p→q). p) →q)[/b].

MT: dato [b]p→q[/b], dalla “falsità di [b]q[/b] possiamo dedurre la “falsità” di [b]p[/b]. Formalmente:

[b]((p→q). -q) →-p)[/b].

Se [b]p[/b] sta per la proposizione teorica (o l’insieme delle proposizioni teoriche che si portano a controllo empirico) e [b]q[/b] sta per la proposizione fattuale desumibile dal controllo empirico effettuato, è abbastanza ovvio considerare la prima procedura (MP) inattuabile nella ricerca scientifica, dal momento che consisterebbe nell’affermazione aprioristica della “verità” della teoria. Il suo contrario, d’altronde, non può portare ad alcuna deduzione valida poiché l’affermazione del conseguente non implica la deducibilità dell’antecedente. Come si evince d’altronde dalla tavola dei valori di verità dell’implicazione materiale.

L’unica distribuzione invalidante essendo quella che assegna il valore Vero all’antecedente e il valore Falso al conseguente, dal controllo della disconferma empirica di [b]q[/b] (falso) possiamo dedurre la confutazione di [b]p[/b], avendo certezza che [b]q[/b] sia stato logicamente derivato da [b]p[/b] (e dunque certezza della correttezza formale di [b]p→q[/b]) (Quine (1974) e Salmon (1969)). Il falsificazionismo popperiano si fonda su questo ragionamento basilare.

4. Inscatolamenti reciproci.

Se la razionalità occidentale partorisce, dal suo stesso ventre, il suo anticristo, la sua creatura “diabolica”, una creatura capace di minare alla radice la compattezza, la monoliticità del suo sapere oggettivo, quello scientifico, allora possiamo assumere come possibile (e certamente necessaria) una critica della razionalità scientifica presa a modello assoluto del sapere tout-court.

Il rapporto fra la dimensione psichica profonda dei processi conoscitivi, quella che Matte Blanco definisce la sfera simmetrica [1], e la dimensione logico-formale, che Matte Blanco definisce asimmetrica, pone una questione fondamentale sui confini fra queste due aree e su un loro doppio inscatolamento.

La stessa questione della definizione dei fondamenti della logica e della matematica – quest’ultimo strumento cardine della conoscenza scientifica – si apre all’altra questione del complesso rapporto fra le strutture formali e i processi reali, dinamici, che costruiscono i loro percorsi spesso a distanza rispetto ai primi.

Secondo Pessa (1985), l’analisi del problema ci conduce a stabilire un ponte fra psicologia e modelli matematici, attraverso la focalizzazione di un ambito in cui la stessa impresa di formalizzazione dei modelli psicoanalitici dell’inconscio e quella di formalizzare le strutture logiche si incontrano e, in parte, si fondono.

Secondo Pessa, ogni sistema deterministico produce una partizione del sistema stesso in un sottoinsieme conscio e in un sottoinsieme inconscio: la prima essendo la parte che contiene le auto-descrizioni del sistema stesso, la seconda quella che non comprende in alcun modo auto-descrizioni. Tale distinzione è di fondamentale importanza, giacché il limite fra queste due parti, fra formalizzazione e formalizzabilità, fra conscio e inconscio, fra processo secondario e processo primario della psicoanalisi, è mobile, «come una infinita gerarchizzazione nella quale, in termini semiotici, ogni “forma” può essere contenuta in una “forma” di rango superiore e ogni contenuto può diventare forma per un contenuto di rango inferiore»[2].

La gerarchizzazione è un meccanismo rappresentativo molto diffuso in logica [3], come è evidenziato da Dalla Chiara Scabia (1968) nella sua rappresentazione geometrica del rapporto fra i livelli logici:

La figura ben rappresenta quello che appare come un capovolgimento di valori rispetto all’intuizione che la logica reale sia quella bi-valente (a due soli valori di verità) mentre le logiche polivalenti (a più valori di verità) sarebbero un’idealizzazione (artificiosa) della prima. In realtà la logica bivalente esprime una modalità di apprensione del reale che è – essa si – il risultato di un’astrazione, rispetto ad una logica che ammetta un numero infinito di valori di verità.

Il carattere sfumato, dai confini incerti, “nebbioso” non è solo delle produzioni cognitive che caratterizzano l’inconscio, ma anche delle produzioni asimmetriche quali quelle in gioco nella costruzione delle teorie logico-matematiche. Vale a dire che analogamente al tentativo gödeliano di riportare la metateoria al livello della teoria, la fondazione della logica (questione metateorica) si riconduce alla struttura di una teoria logica che è però anche teoria psicoanalitica, la teoria degli insiemi infiniti di Matte Blanco.

Tale tipo di inscatolamenti reciproci – strutture a-logiche che contengono strutture logiche e viceversa – non sarebbero concepibili, quanto meno nella loro forma attuale di strumento critico della razionalità scientifica, senza l’immane sforzo e il grandioso risultato del lavoro di Gödel, a cui bisognerà riconoscere tutta la portata culturale, non soltanto tecnica, dei suoi teoremi.

5. Gödel e i limiti.

Di seguito daremo al lettore la possibilità di avere un quadro complessivo, forzatamente sintetico e dunque semplificativo, dei passaggi in cui si articolano i teoremi di incompletezza di Gödel, che segnano il limite sintattico e semantico dei sistemi formali, da cui è possibile per estensione concettuale affermare il limite di ogni processo di formalizzazione del pensiero [4].

La successione dei passaggi segue, nel lavoro originario di Gödel, un ordine preciso che qui, per economia di discorso, seguiremo solo in parte. Così come parziale sarà la misura della formalizzazione cui si ricorrerà nella presentazione di quei passaggi.

1. Si definisca un sistema formale S – che è tale per possedere una struttura articolata in un numero finito di assiomi (proposizioni/formule fondamentali non dimostrabili), un numero finito di regole di derivazione (di proposizioni da proposizioni, e dunque di teoremi dagli assiomi), un numero finito di proposizioni/formule finali, i cosiddetti teoremi.

2. Si definisca un sistema formale, come precedentemente dato, tale da essere rappresentabile in esso una parte consistente dell’aritmetica elementare.

3. Avremo, nel sistema dato, formule di numeri e formule che esprimono proprietà dei numeri: diremo le prime formule matematiche e le seconde formule meta-matematiche.

4. Sia le une che le altre possono essere espresse mediante sequenze di numeri, i numeri gödeliani, ottenute utilizzando un codice di rappresentazione che assegna ad ogni elemento delle formule un preciso numero appartenente a una lista, che può essere definita in modo arbitrario.

5. E’ possibile costruire una formula, vera in S, che non è dimostrabile in S, se si assume che il sistema sia coerente, tale cioè che non contenga formule contraddittorie (pena la derivabilità di qualunque altra formula).

6. Una tale formula corrisponde alla proposizione classica che diede luogo all’antinomia del mentitore: “io mento!”. La forma che assume nel nostro sistema formale è: [b]p: “p non è dimostrabile in S”[/b].

La tecnica di gödelizzazione, che assegna una precisa serie di numeri ad ogni formula esprimibile nel sistema stesso, ci consente di affermare che ogni formula dimostrabile nel sistema avrà un suo preciso numero gödeliano, e che ad ogni numero gödeliano corrisponderà, in S, o un assioma o una formula dimostrata a partire dagli assiomi.

7. Sfruttando la tecnica di diagonalizzazione di Cantor, che era già servita per dimostrare la maggiore densità della successione dei numeri reali rispetto a quella dei numeri naturali, Gödel costruisce una formula in S che esprime la sua indimostrabilità:

[b]P: “per tutti i numeri n, n non è un numero gödeliano di una dimostrazione in S di P[/b].

P è una formula aritmetica ma esprime anche la sua indimostrabilità in S. Dunque P è indecidibile in S. Ne risulta il primo teorema di incompletezza di Gödel:

Dato un sistema formale [b]S[/b], tale che 1) è coerente e 2) si può derivare in S una porzione sufficientemente estesa dell’aritmetica, allora possiamo trovare una proposizione p indecidibile in [b]S[/b], vale a dire una proposizione p che non può essere dimostrata in [b]S[/b], come la sua negazione non-p, pur potendo dimostrare che p è un enunciato vero dell’aritmetica mediante un argomento informale che non appartiene a [b]S[/b].

Per estensione, si ha modo di dimostrare anche il secondo teorema di incompletezza:

Se [b]S[/b] è coerente, allora la sua coerenza non può essere dimostrata dentro [b]S[/b] stesso (vale a dire coi suoi mezzi sintattici)

Il risultato, ottenuto mediante una procedura geniale, è sconvolgente: il programma logicistico di Russell e quello formalista di Hilbert non sono realizzabili. A qualunque livello si ponga, una costruzione razionale, perfettamente formalizzata, avrà sempre bisogno di un elemento x esterno al sistema stesso, informale rispetto ad esso, per dimostrare la sua coerenza. Sarà pur sempre possibile definire un sistema formale S’ di livello superiore, che comprende anche quell’elemento x, la cui coerenza tuttavia non sarà possibile dimostrare senza far ricorso ad un altro elemento x’ esterno ad esso. E così via.

6. Scienza e narrazione.

C’è poi la questione non secondaria del rapporto che la scienza e il suo sapere intrattengono con quello che Lyotard definisce la “narrazione”, ovvero quel sapere non riducibile alla scienza stessa ma che fornisce a quest’ultima un piano in cui si rende possibile una sua legittimazione:

«In primo luogo, il sapere scientifico non è tutto il sapere, è sempre stato accanto, in competizione, in conflitto con un altro tipo di sapere, che noi definiamo per semplicità narrativo…» (Lyotard (2012), p. 18).

Quest’ultimo caratterizzato, rispetto a quello scientifico, dal fatto che la sua competenza:

«eccede la determinazione e l’applicazione del solo criterio di verità, e (che) si estende a quelle dei criteri di efficienza (qualificazione tecnica), di giustizia e/o di felicità, di bellezza sonora, cromatica (sensibilità auditiva, visuale), ecc.» ( Ivi, p. 38).

Riecheggiano in questi passaggi le riflessioni di Foucault sul rapporto rivelativo che la “verità” intrattiene con i suoi “effetti”, il cui universo di estensione è – insieme – più ampio e più ristretto dell’altro, tradizionalmente considerato l’unico degno di considerazione in un contesto filosofico.

7. La tecnologia.

Lo sviluppo tecnologico della conoscenza scientifica nel mondo occidentale, con l’impulso poderoso ricevuto nel XIX secolo, non nasce, come sembra convenire ad una prospettiva eurocentrica della storia del pensiero scientifico, da una maggiore vicinanza della cultura dell’occidente alla realtà oggettiva, da un suo più spiccato interesse per il dato fenomenico rispetto all’esperienza del rapporto fra il soggetto e l’oggetto, bensì da un paradigma conoscitivo – quello cosiddetto positivo – che corrisponde alla forma precisa che in occidente ha preso il complesso rapporto fra produzione dei beni materiali, proprietà dei mezzi di produzione di quei beni, bisogni soggettivi e lavoro.

E’ dentro questa cornice storica, infatti, che si afferma nel mondo, e dilaga in ogni dove, l’idea che non può esserci sviluppo, crescita, innovazione tecnologica, fuori dal modello che è nato da quella forma: il capitalismo, nelle sue diverse ma equipollenti declinazioni. Un’idea che, in sé, non è sbagliata, se contestualizzata al reale processo storico che ha prodotto quel nesso. Un’idea che invece è semplicemente parziale, poiché è generata da quello stesso paradigma che ha generato lo sviluppo scientifico che noi – assolutizzando – chiamiamo scienza.

Proviamo a pensare uno sviluppo diverso, dentro un paradigma diverso.

Note

[1] Così detta perché vi opera il principio di “simmetria”, che elimina il principio del terzo escluso e il concetto temporale di prima/dopo. Si veda Matte Blanco (1981).

[2] Vero (2006), p.114. Una tale gerarchizzazione si riscontra anche nel processo epistemo-genetico di Piaget, nella forma di una progressiva generalizzazione delle azioni senso-motorie infantili agli schemi logico-matematici dell’adulto. Si veda Piaget (1978).

[3] Per es. la teoria dei tipi logici di Russell (vedi Mangione, 1973, pp. 494-506); la gerarchia di Post-Kleene (vedi Dalla Chiara Scabia, 1968, p. 17 e Pessa, 1985, pp. 107-108; la teoria di Tarski (Pessa, 1985) della distinzione fra linguaggio e metalinguaggio; la gerarchia dei sistemi formali proposta da Gödel (Pessa, 1985, pp.74-81), poi trasposta in ambito estensionale da Post (1974, pp. 94-117).

[4] Essendo chiaro che tale esposizione non pretende di sostituire una trattazione tecnicamente completa dei teoremi, si rimanda ad alcuni testi a cui il lettore potrà far riferimento: Rucker (1995) situa i teoremi gödeliani all’interno della questione più ampia dell’infinito e delle sue rappresentazioni mentali; Clegg (2003) non affronta direttamente i teoremi ma li lascia sullo sfondo di un discorso sulla “impensabilità” dell’infinito; Barrow (2002) ne parla dentro un’avvincente narrazione della storia del “nulla”; il già citato Berto (2008) si propone come una guida completa al lavoro gödeliano; Plebe (2004) lo situa dentro la sua tesi che il linguaggio naturale sia descrivibile come un calcolo; Zellini (1985) lo pone al punto di massima tensione della crisi dei fondamenti della logica e della matematica; Gillies (1998) riflette sulle ricadute che i teoremi hanno sull’intelligenza artificiale.

* Sandro Vero è psicoterapeuta. Conseguita la laurea in psicologia sperimentale e la specializzazione in medicina psicosomatica, è stato docente a contratto di psicologia della comunicazione per l”Università di Catania. Ha scritto numerosi articoli scientifici e due volumi: Le strutture profonde della comunicazione (Bonanno ed.), e Il corpo disabitato (Angeli ed.). Giornalista, scrive per alcune testate online e per la rivista di cultura “Le Fate”. I suoi interessi filosofici vertono sui temi della filosofia politica, dell”epistemologia e della logica, del pensiero di Foucault.

Bibliografia

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