‘di Chris Carlsson
Il titolo di questo articolo è un vecchio slogan dei primi anni ’90, nei giorni in cui avevamo fondato delle disperate “organizzazioni†come la Committee for Full Enjoyment (Commissione per il pieno divertimento, anziché Full Employment, ossia piena occupazione) e il Sindacato locale di ladri del tempo 00. Era il periodo dell’ultimo anno di vita della rivista Processed World, pubblicata dal 1981 al 1994, che brillava con luce intensa sull’insipida inutilità della vita lavorativa quotidiana nell’America delle imprese, del non-profit, del sistema educativo, ma soprattutto degli emergenti uffici high-tech dell’epoca. Parlare di lavoro ci è sempre sembrato come rendere pubblico un terribile segreto, come rivelare una nascosta consapevolezza che l’imperatore è nudo, che il lavoro come lo conosciamo è principalmente una perdita di tempo se non addirittura un modo per rendere il mondo decisamente peggiore.
Per molti anni sembrava che in pochi erano disposti ad accettare l’argomento o, se lo facevano, solo dal punto di vista di un quadro di riferimento tradizionalmente di sinistra. Così abbiamo assistito a infinite campagne che promuovevano il “lavoro†come un qualcosa a cui dovevamo essere a favore, combattendo per sostenere dei sindacati palesemente corrotti ed inetti, e un’accettazione di base della nozione di crescita economica come qualcosa di buono e che i profitti capitalistici operano a beneficio di tutta la società . Persino in quel periodo la sinistra sosteneva che i lavoratori avevano solo bisogno che gli si ricordasse che erano parte della gloriosa classe operaia e che, forti di questa presa di coscienza, ne sarebbero naturalmente conseguiti dei radicali cambiamenti sociali. Alla luce delle moribonde ideologie che riguardano il dibattito su lavoro e lavoratori, non sorprende che l’enfasi neoliberista sulla “libertà †individuale e l’auto-imprenditorialità abbia influenzato di più le pratiche quotidiane delle persone di ogni altra offerta che venisse da “sinistraâ€.
Data la discontinuità del pensiero critico a sinistra in riferimento al tema del lavoro e dell’economia, è incoraggiante che finalmente siano iniziati a comparire alcuni nuovi libri che mettono in discussione tale situazione. I quattro scritti che andrò ad intrecciare in questo articolo, condividono una certa disperazione nella loro essenza, ma penso che la disperazione sia uno stato d’animo abbastanza comprensibile di fronte alla nostra difficile situazione. E non penso che disperazione voglia dire paralisi, né il vecchio spauracchio del “disfattismoâ€. Dobbiamo toccare il fondo prima di ricominciare di nuovo un qualcosa di fresco che possa scrollarci di dosso la depressione e la pesante paralisi del pensiero rivoluzionario.
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