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Il semio-capitalismo

In nessun altro sistema di produzione – materiale e ideologico – della storia occidentale si è registrato un tale carico semiotico delle agenzie deputate al controllo e al mantenimento dello status quo. [S. Vero]

Il semio-capitalismo
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5 Febbraio 2018 - 09.20


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di Sandro Vero*

                                                                                La riflessione semiologica (come la concepisco io) è interamente rivolta verso una ultra-rivoluzione: quella dei sistemi di senso

                                                                                                              Roland Barthes[1]

1. Premessa

La riflessione sul potere, nella sua forma peculiare del capitalismo contemporaneo, si sposta sempre di più dai meccanismi coercitivi in cui è consistito il controllo di una classe sull’altra, ai meccanismi conoscitivi e soggettivanti in cui consiste il controllo dell’individuo, oramai da tempo sganciato da un’identità dell’appartenenza e sempre più collocato in un’area che potremmo considerare dell’identità semiotica.

Il soggetto, totalmente immerso in una rete di senso incessantemente ricostruita a partire da elementi commutanti, pensa e sente secondo modalità previste, accuratamente riprodotte attraverso le numerose agenzie deputate a questa forma di burocrazia semiotica.

2. Un’idea di semiotica

Si può avere della semiotica un’idea “neutrale”, “oggettiva”, pressoché l’idea di una tecnica, di uno strumentario disponibile a qualsiasi uso, eticamente inclassificabile, buono a fornire i suoi servigi al pubblicitario in cerca di soluzioni di vendita come al giornalista che si pone obiettivi di leggibilità, al sociologo che vuole condire la sua pietanza scientifica con qualche riferimento linguistico come al politico che ha un costante bisogno di aggiornare la sua macchina del consenso, e così via. Una tale idea non nega, a priori, che la semiotica appartenga al novero delle discipline scientifiche, anzi esalta questo carattere proprio a partire dalla presunta neutralità del suo discorso: sapere come funziona la comunicazione fra le cose degli umani diventa utile al furbo funzionario aziendale che si occupa di marketing esattamente come al ricercatore che studia i comportamenti sociali che si coltivano intorno al consumo. La premessa implicita è – come si intuisce, a torto o a ragione – che la semiotica sia scienza proprio in quanto neutra.

Si può, tuttavia, avere un’idea diversa della semiotica. Un’idea che ha bisogno, per la sua definizione, di una visione a strati, i cui livelli fondamentali si dispongono a formare una sorta di gerarchia[2]:

  • – il livello inferiore, della semiotica degli oggetti e dei processi, appunto semiotici, considerati mediante un’astrazione storica, quest’ultima alla stregua di una sorta di finzione metodologica il cui obiettivo è quello di fornire modelli di invarianza che trascendano il tempo e lo spazio. È questo l’ambito della semiotica generale
  • – il livello intermedio, della semiotica degli usi fattuali, applicativi, studiati in riferimento a contesti specifici: la pubblicità, il testo scritto, i codici che sostanziano il funzionamento dei flussi comunicativi sanitari, i codici militari, ecc. Si individua in questo livello l’ambito delle semiotiche speciali
  • – il livello superiore, della semiotica sociale – o socio-semiotica – che insegue e bracca l’uso sociale dei suoi meccanismi, la loro fungibilità Abbiamo in questo la semiotica come teoria critica della produzione culturale.

I termini “Inferiore” e “superiore”, nella suddetta gerarchia, non avendo un puro e semplice significato valoriale, indicano soprattutto una prospettiva, meno ampia e comprensiva in basso, più estesa e complessa in alto.

Una tale caratterizzazione apre alla possibilità di alcune interessanti aporie, che si concentrano specie nel livello intermedio e superiore.

La prima aporia ci appare nell’ambito delle semiotiche speciali. Al livello della semiotica applicativa diremo – con un certo grado di certezza – che il suo discorso riguarda gli ambiti nei quali i processi semiotici si specializzano. Ogni altro elemento fattuale, comportamentale, operativo che si innesca (e si innesta) al fine di realizzare quella o l’altra applicazione, rimane fuori da quel discorso, come l’uso che si fa – poniamo – in ingegneria delle leggi della fisica resta fuori della fisica stessa e rientra semplicemente nel novero delle discipline ingegneristiche.

La seconda aporia riguarda l’ambito più alto. Al livello della socio-semiotica, indubbiamente, una parte cospicua delle sue analisi può essere riconvertita – come d’altronde accade in qualunque altra area illuminata dal pensiero critico – agli usi concreti e, appunto, ideologici che essa chiarisce. Il carattere circolare della mitopoiesi capitalistica è tale proprio in quanto la macchina mitologica del capitalismo rumina incessantemente anche le sostanze avverse[3].

Si può dunque prefigurare uno scenario in cui la semiotica come critica delle ideologie costruite a partire dalle tecniche del segno sia inseguita da un pensiero interessato a sgonfiarne la pregnanza politica, anche mediante strategie emulative, valide pratiche in cui l’eccesso critico rispetto al difetto applicativo è fatalmente riconvertito in materiale applicativo. Rappresentando quest’ultimo il punto in cui si innesta un secondo anello critico che può a sua volta essere parassitariamente sfruttato. E così via, in un processo potenzialmente infinito.

3. Il semio-capitalismo

Quella complessa e alquanto indefinita nebulosa di significati addensata intorno al termine “capitalismo” può a questo punto arricchirsi (e ulteriormente complicarsi) della caratterizzazione che qui si propone: quella di essere un’estesa macchina di senso (in grandissima parte mitologico), che costruisce incessantemente il corpo pensante, desiderante, ansimante dei suoi individui, tracciando confini, statuendo possibilità e plausibilità, proponendo/imponendo riferimenti assiologici più o meno demarcati. Se poi, insieme a queste prerogative fondamentali, la macchina si carica anche – come detto nel capitolo precedente – delle funzioni di allineare flussi oggettivi e flussi soggettivi, necessità e desideri, offerta e domanda, allora la caratterizzazione può ben riassumersi in questo modo: il capitalismo non può che essere semio-capitalismo[4].

Diremo di più: in nessun altro sistema di produzione – materiale e ideologico – della storia occidentale si è registrato un tale carico semiotico delle agenzie deputate al controllo e al mantenimento dello status quo. È facile far riferimento – come esempio emblematico – al rapporto che, nel mondo ellenico e in quello romano, il potere intratteneva con la religione, cui – pur nella sostanziale adiacenza di fatto – era lasciata una forte autonomia nella costruzione di scenari di senso. Fino alla straordinaria (più per la portata dell’evento che non per la sua giustezza) scelta di accogliere, nell’editto tessalonico, la religione cristiana nella realtà di uno stato pagano.

Oggi il semio-capitalismo provvede direttamente sia ai bisogni materiali sia a quelli spirituali di un’umanità sempre più disponibile. Anche se i secondi sono, con una forte evidenza, una sottospecie merceologica dei primi, indubbiamente la completezza dell’offerta non ha pari nella storia dell’umanità.

 

Note:

[1] Roland Barthes, Scritti: Società, Segno e Comunicazione, tr.it. Einaudi 1998, p. 53.

[2] Tale gerarchia è stata preconizzata, sia pure in termini diversi, da Umberto Eco, Trattato di semiotica generale, Bompiani 1975.

[3] Sandro Vero, Il Mito Infinito, Il Prato 2016.

[4] Cfr. Maurizio Lazzarato, Signs and Machines, Semiotext(e) 2014.

 

*Il testo qui proposto è tratto dal saggio di Sandro Vero, Il racconto delle passioni. Ingegneria degli affetti nel semio-capitalismo, di prossima pubblicazione.

 

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