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Si può fare un Senato nemico della Casta?

Aldo Giannuli lancia una proposta per una riforma del Senato innovativa, senza lasciare campo libero alla riforma proposta da Renzi, che gioca contro i conservatorismi.

Si può fare un Senato nemico della Casta?
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2 Aprile 2014 - 22.47


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di Aldo Giannuli.



La riforma del Senato, se non altro, ha
avuto il merito di portare allo scoperto una serie di questioni di alto
profilo, innescando un dibattito come non se ne sentivano da tempo.
Anche se si fa sentire pesantemente  l’anchilosi intellettuale di trenta
anni di torpore delle culture politiche. Il dibattito è interessante,
ma confuso e giocato su “quel che sembri”, per cui Renzi sembra
l’innovatore e chi gli si oppone un unico fronte di conservatori amici
della casta. Le cose non stanno così ed una breve  puntualizzazione
servirà a dissolvere qualche equivoco.

Il bicameralismo, storicamente, sorge in
Inghilterra, con la rivoluzione del 1689, dal compromesso fra borghesia
emergente –Camera dei Comuni- e principio di nomina regia –Camera dei
Lord-. Poi questa soluzione sarà adottata dal “compromesso orleanista”
delle monarchie parlamentari nel continente. Con l’avvento delle
repubbliche in gran parte di Europa, nel 1918, la logica avrebbe voluto
che il Senato sparisse, non avendo più il suo referente fondativo, ma le
cose non andarono così, perché l’ala moderata dei nuovi sistemi
politici ottenne di conservare il bicameralismo, diffidando del
Parlamento monocamerale nel quale vedeva l’incarnazione
dell’assemblearismo giacobino.

Una seconda camera, con accorgimenti
diversi (diversa base elettorale, caratterizzazione territoriale, età
degli elettori, presenza di membri di diritto o di nomina presidenziale
ecc) avrebbe diviso il Parlamento dando più ruolo al capo dello Stato ed
all’esecutivo. E questa fu la soluzione adottata dalla Costituente, che
rispondeva all’idea moderata della democrazia in essa prevalente, nella
quale incise anche la tradizione municipalistica del partito cattolico,
la cui concezione della democrazia esaltava il ruolo delle autonomie
(il riferimento al Senato eletto  “a base regionale”). Per di più, con
una concessione alla concezione notabilare propria della vecchia guardia
liberale: il collegio uninominale, che poi venne riassorbito nel
sistema proporzionale con l’apposita legge elettorale. I dc Emilio
Tosato e Costantino Mortati furono espliciti nel richiamare i rischi i
una “dittatura dell’Assemblea” e sul ruolo di mediazione del governo,
nel caso di conflitto fra le due Camere.

C’è chi pensa, del tutto infondatamente
che la soluzione bicamerale fosse voluta della sinistra (magari
immaginando una Assemblea Costituente fatta di partigiani, cosa
assolutamente non vera). In realtà il Pci era per il parlamento
monocamerale e finì per accettare a malincuore la soluzione bicamerale
voluta da Dc, liberali e destre.

In realtà nel quarantennio della Prima
Repubblica, la funzione del bicameralismo fu abbastanza limitata e, nel
complesso, si risolse in un rallentamento dei lavori parlamentari, ma
ebbe anche un effetto forse non previsto: per l’esigenza di ottenere la
maggioranza in entrambe le Camere, si determinò una spinta ad allargare
la base delle coalizioni parlamentari, in modo da coprire eventuali
margini di rischio in una delle due assemblee. E, infatti, quando, come
nel caso del secondo governo Andreotti (1972-3) i margini al Senato
furono molto ristretti, il governo ebbe vita breve e difficile.

Le cose sono poi cambiate con l’avvento
del maggioritario che, per sua natura, blinda le coalizioni, non
consentendo allargamenti successivi. Ma la diversa composizione del
corpo elettorale delle due camere e la loro diversa base elettorale
(nazionale per la Camera, regionale per il Senato) determinava il
rischio di maggioranze differenziare nei due rami del Parlamento, cosa
cui si andò molto vicini nel 1994 e nel 2006 e poi effettivamente
accaduta nel 2013. Infatti, nessun paese a regime parlamentare e
maggioritario ha un bicameralismo perfetto, cosa di cui, colpevolmente,
non tenne conto la Corte Costituzionale nel 1993, quando ammise il
referendum golpista di Segni, Occhetto e Pannella, che dette il via al
processo di scasso costituzionale di fronte al quale ci troviamo.

Dunque, in sé il bicameralismo perfetto è
una soluzione moderata e poco funzionale, e una razionalizzazione del
sistema andrebbe nel senso del suo superamento. Ma la questione non può
essere affrontata solo sulla base di astratte considerazioni sistemiche
,
ed occorre tener conto anche delle concrete dinamiche politiche in
atto. Fra le devastanti conseguenze del passaggio al maggioritario, c’è
la deriva populista e la formazione di partiti personali con la
conseguente tendenza a semplificare il processo decisionale, sino a
ridurlo alle sole decisioni del leader. E il successo di Renzi in un
partito come il Pd conferma questa tendenza anche se in forma
caricaturale
.

In questo quadro, l’eliminazione tout
court del Senato finisce per favorire ulteriormente la deriva
liberticida ed anticostituzionale del nostro ordinamento
. Dunque, è del
tutto ragionevole opporsi alla proposta di Renzi, ma la soluzione non
può essere la difesa dell’esistente
che, oltretutto, è una prospettiva
perdente. Se andassimo ad un referendum di ratifica della riforma di
Renzi, non c’è dubbio, almeno per ora, che lo perderemmo. Sarebbe solo
un plebiscito per lui che passerebbe come l’eroe anticasta.

La strada deve essere un’altra. C’è un
difetto di base nel nostro sistema: la scarsa funzionalità dei
meccanismi di controllo e garanzia
. Che senso ha discutere la
pregiudiziale di costituzionalità in una Assemblea in cui c’è già una
maggioranza precostituita che la respingerà? E che garanzia di controllo
sull’operato del governo potranno dare le commissioni di inchiesta o
quelle di vigilanza (Servizi Segreti e Rai) elette dalla stessa
maggioranza che concede la fiducia al governo? E non cambia niente se la
presidenza di alcune di queste commissioni viene data a partiti di
opposizione, tanto poi la maggioranza dei commissari resta di colore
governativo.

A questo punto, potrebbe risultare 
utile dividere le funzioni: quelle di indirizzo politico (fiducia al
governo, mozioni di politica estera e attività legislative) alla Camera
dei deputati
e, invece, funzioni di controllo (interrogazione,
inchiesta, commissioni di vigilanza, messa in stato d’accusa del
Presidente, nomina delle authority ecc) e di garanzia costituzionale
(pregiudiziali costituzionali, elezione dei 5 membri della Consulta e
del terzo del Csm) al Senato. Magari aggiungendo anche il potere di
ammonizione del Capo dello Stato che, senza incorrere nei reati di
attentato alla Costituzione ed alto tradimento, faccia uso improprio dei
suoi poteri.

Ovviamente un’ assemblea del genere non
può essere espressione dei partiti
, per cui dovrebbe essere eletta con
un metodo né maggioritario né proporzionale, ma con candidature
individuali in ampi collegi plurinominali (ad es le circoscrizioni delle
europee o, anche, una sola circoscrizione nazionale). Aggiungo: con il
divieto esplicito di simboli di partito
, di dichiarazioni di voto o
attività di propaganda in qualsiasi forma di partiti a favore di
candidati, attività che, invece, potrebbero essere svolte dalle
associazioni culturali, imprenditoriali, sindacali ecc. della società
civile
. Ovviamente risulterebbero eletti quanti ottengono il maggior
numero di voti. Un Senato nemico e controllore della Casta, il
carabiniere della Costituzione. E per un Senato del genere 70 o 80
membri sarebbero più che sufficienti.

Fonte: http://www.aldogiannuli.it/2014/04/senato-nemico-della-casta/.

 


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