di Piotr
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In un post che ho scritto il 30 maggio e ho inviato solo a pochi corrispondenti personali prendevo in considerazione la possibilità di un rientro in gioco di Conte ma lo ritenevo un evento un po’ farraginoso.
Ad ogni modo, sia che fosse andato in porto un tentativo numero due di Conte, o che si fosse andati a nuove elezioni, traevo la conclusione che Di Maio, che non ha esperienza degli intrighi e dei giochi di Palazzo e non ha dietro di sé un partito ma un qualcosa di difficilmente definibile, si era fatto prendere per i fondelli dalla vecchia volpe Salvini che aveva usufruito dell’assist di Mattarella (che infatti Salvini ha subito difeso dall’attacco, un bel po’ maldestro, dei 5 Stelle).
Salvini sembrava voler puntare dritto alle elezioni in settembre, sapendo che fino ad allora avrebbe avuto il vento in poppa e sarebbe uscito dalle urne come padrone del Centrodestra e forse con una percentuale di voti pari se non superiore a quella del M5S. A quel punto si sarebbero aperti vari scenari, di cui però per adesso non ha senso parlare.
Ma, a quanto pare, il leader della Lega ha giudicato troppo rischioso politicamente rifiutare il rilancio di un governo Lega-M5S che Di Maio ha proposto una volta che si è reso conto del suo errore. Da una parte sarebbe stato un rifiuto poco giustificabile, dall’altro le difficoltà sperimentate dal M5S nei due giorni seguiti all’uscita di scena di Conte permettevano a Salvini di pensare ad un governo a “trazione” leghista.
Il leader leghista potrebbe così fin da subito imprimere al governo quella “cifra” securitaria (praticamente a costo zero) che sta a cuore a buona parte del suo elettorato. E’ facile a quel punto prevedere polemiche e reazioni a non finire che metterebbero in ulteriore difficoltà Di Maio col suo elettorato e si creerebbe una situazione difficile per l’attuazione di quanto di sensato il M5S ha voluto mettere nel programma.
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Da una prima superficiale valutazione a poche ore dall’annuncio della lista dei ministri, il nuovo governo mi sembra “normalizzato”. Il vincitore vero di questo round, alla fine, è stato il presidente Mattarella.
Ora, il problema è che questo atipico “governo del presidente” è un governo interlocutorio, nel senso che dovrà interloquire con una serie di fattori, moltissimi dei quali non dipendono dall’Italia.
Pierluigi Fagan ha sottolineato il fatto che, per dirla in termini spicci, in una situazione simile i famosi “interessi nazionali” (quelli che stanno a cuore ai cosiddetti “sovranisti”), interessi che, vorrei aggiungere, non sono di una singola classe ma di un insieme composito di classi, questi interessi, si diceva, non sono ben definiti. E ha ragione.
C’è chi vede come un gravissimo cedimento non aver messo all’ordine del giorno l’uscita dall’Eurozona. Ma a parte il suggerimento attribuito a Theodore Roosevelt “Parla piano ma gira col bastone, andrai lontano”, ricorda Fagan, c’è anche un’altra questione: il popolo italiano si è mai espresso su questo tema? Siamo sicuri che un ipotetico referendum anti Euro darebbe un risultato “sovranista”? A me sembra che nemmeno la Lega lo pensi veramente (o ha intenzione di andare a vedere se davvero è così, dato tra l’altro che molte aziende del Nord rientrano nella macro area economica tedesca).
Ma andiamo oltre. Seppure siamo d’accordo che il capitalismo finanziario neo-liberista sia una tragedia diretta da gruppi socio-criminali, siamo sicuri che un neokeynesismo risolverebbe i problemi? La crisi sistemica non è nata (nel 1972, non dieci anni fa!) proprio dall’impetuoso sviluppo (più o meno) “keynesiano” del dopoguerra? Certo, per chi pensa che essa sia il frutto di un complotto mondialista di finanzieri massoni o massoni-sionisti, la domanda è una provocazione non degna di risposta. Se invece si pensa in termini sistemici di meccanismi geo-storici di accumulazione, la domanda è sensata. E quindi io la pongo e me la pongo.
Così come è sensato porsi il problema che oltre all’Euro esiste anche il Dollaro e che, come sottolineava Marx, ogni “divisa” si veste della “divisa” di un determinato esercito, in senso letterale.
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È allora anche lecito chiedersi che cosa potrebbe fare l’Italia con una Lira affrancata dai giochi sporchi dell’Euro-Marco ma ancella del Dollaro (quando avevamo la “Lira keynesiana” eravamo comunque, se non ricordo male, un paese a sovranità limitata). Probabilmente potrebbe fare poco di più di una Grecia con una Dracma che gira tra 11 milioni scarsi di abitanti quando ormai gli attori della gestazione multipolare hanno dimensioni che sono da dieci a cento volte maggiori.
O certo, se cambiasse la configurazione geopolitica… Ma Putin, come ha ricordato Fagan, ha già detto tempo fa alla Grecia annaspante: “Cara, ti voglio bene, per molti motivi che tutti sanno, ma proprio non posso, abbi pazienza” (e con tutti i problemi che ha la Russia, si capisce come sia restia ad aprire un nuovo fronte balcanico).
O certo, basterebbe anche, almeno teoricamente, che ci fosse un libero commercio mondiale allo stato puro. Ma non c’è mai stato.
Con questo dobbiamo accettare l’insostenibile situazione attuale? Ovviamente no. Dobbiamo però ricordarci che la soluzione non è “tecnica” ma politica.
Quando parliamo di “recupero della sovranità nazionale” bisogna specificare molto bene cosa intendiamo, i mezzi per recuperarla, le condizioni di possibilità interne ed internazionali e la valenza politica dell’obiettivo finale e del processo per conseguirlo.
Un Montepaschi-Cassa Depositi e Prestiti come banca pubblica sarebbe un buon passo nel creare delle condizioni favorevoli, più silenzioso di un referendum sull’Euro (dal risultato inoltre molto dubbio, se ne sono accorti tutti), attaccabile con difficoltà da parte delle vestali di Maastricht, ma con effetti molto più efficaci. E quindi è una misura che prevedo molto contrastata, se mai verrà messa all’ordine del giorno. Sarà una battaglia “tecnica” che è possibile rivestire e proporre con tutta la sua valenza politica? Chi lo farà?
Excursus. Che dice il contratto di governo sul tema energia, in termini geopolitici? Forse questo è uno dei casi in cui bisogna parlare particolarmente piano. Lo potrei capire. Vedremo allora coi fatti se si rilancerà, ad esempio, il South Stream. La Germania non fa mistero di voler diventare a tutti i costi l’hub energetico del Nord per l’Europa. Quando Berlusconi non fece mistero di volere che l’Italia diventasse l’hub meridionale la sinistra iniziò a deriderlo dicendo che era amico di Gheddafi e Putin! Infine il progetto fu silurato dalla guerra in Libia, sponsor Sarkozy, e Berlusconi venne destituito da Napolitano (non formalmente ma essenzialmente, come si direbbe in diritto costituzionale). Si sta oggi pensando ad un accordo con la Francia, visto che lo scontro diretto non è praticabile? Sarà possibile? La sua ipotesi o la sua realizzazione saranno usate nella ormai improcrastinabile trattativa globale con la Germania? E che ne penserebbe DonaldTrump? Che ne penserebbe Mike Pompeo? Che ne penserebbe il “deep state”?
Non possiamo accettare l’insostenibile situazione attuale. No di certo. Ma allora dobbiamo definire correttamente cos’è questa situazione. E la situazione di ieri è già superata da quella di oggi, basti pensare alla Brexit, basti pensare ai dazi imposti da Trump (gli USA non sono mai stati per il libero commercio, ma per la libera impresa), basti pensare a quello che può succedere in Medioriente o nel Donbass nel brevissimo termine, o nel Mar della Cina, o nel “cortile di casa” di Washington, o al contrario a ciò che non succederà, perché anche questo è importante.
La cosiddetta “situazione attuale” è in realtà una continua “variazione in corso d’opera”, con scatti e accelerazioni impressi dall’andamento mondiale della crisi sistemica.
È per questo che la “normalizzazione presidenziale” avrà probabilmente come effetto un governo interlocutorio che non può permettersi una “grand strategy” (nemmeno i potentissimi USA riescono ad averla). Posso sbagliarmi totalmente, ma in altri termini penso che l’agognato governo di cambiamento sarà in realtà un governo di attesa. Attesa di input dall’esterno.
Può essere tuttavia un governo con una migliore capacità di elaborazione degli input esterni, o addirittura, almeno in parte, un governo proattivo, non solamente reattivo. Ma questo dipenderà moltissimo dalle pressioni che noi riusciremo a fare su di esso, sia in politica interna che estera.
Difficilmente sarà un governo che farà rimpiangere quelli a guida PD o a guida FI, anche se i nostalgici di queste forze politiche e specialmente, ahimè, i nostalgici di sinistra, faranno sentire la propria voce in tutti i modi, anche i più sguaiati.
In definitiva sarà, mi dà l’idea, un governo vulnerabile.
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Quel che è certo, come ho già scritto, è che la crisi sistemica è una crisi dell’egemonia della leadership occidentale, a partire dalla potenza che è predominante dalla fine della II Guerra mondiale, cioè gli USA. Questa crisi, ribadisco, mina la governabilità “normale” dei paesi coinvolti (ciò è evidente anche nel centro imperiale stesso dove è in corso una rissa enorme e mai vista prima), mina cioè la possibilità di governare tramite l’egemonia. E quando si dissolve l’egemonia si vede che essa, come diceva Gramsci, era “armata di coercizione”. Resta cioè l’esercizio puro del potere, il dominio, la guerra, l’autoritarismo, in una mancanza di pudore che tradisce il fatto che nessuno (ripeto: nessuno) sa come uscire da questa crisi, se non rilanciando ottusamente mosse che la ingigantiscono, in una patologica coazione a ripetere tutto ciò che è noto ma errato, senza nessuna capacità adattiva, ovvero trasformativa.
D’altronde la trasformazione, se vera, se radicale, non può avvenire dall’alto.