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Progressisti in divisa (12): il pacifismo di classe

12ª e ultima puntata di "Progressisti in divisa: la Sinistra pacifista viene arruolata", saggio di Patrick Boylan. Il pacifismo che rifiuta la divisa.

Progressisti in divisa (12): il pacifismo di classe
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9 Dicembre 2013 - 00.07


ATF

Pubblichiamo
la dodicesima e ultima puntata di “Progressisti in divisa: la Sinistra
pacifista viene arruolata”
, un libro di Patrick Boylan*,
prima dell”uscita in forma di e-book. Sono analizzati i
difetti dei pacifisti italiani e occidentali, che condividono
i difetti della sinistra, nel frattempo auto-eliminatasi e cooptata
nel campo di chi fa le guerre.

Buona
lettura

(la
Redazione)

 

di Patrick Boylan.

Le
prime dieci puntate di
Progressisti
in divisa

hanno documentato la causa meno discussa (forse perché più
imbarazzante) del
declino
del pacifismo
:
la metodica manipolazione della Sinistra (pacifista) da parte del
potere. L”undicesima puntata ha invece documentato i recenti
tentativi, malgrado i condizionamenti subiti, di
riprendere
la lotta
.
Inoltre ha indicato, nella “guerriglia economica”, una
strategia
da privilegiare
,
in futuro, per contrastare le guerre imperialiste.

Infine,
in questa dodicesima ed ultima puntata, vengono descritte le tre
correnti
(o
visioni
del pacifismo
)
presenti nel movimento italiano contro la guerra. Una sola, secondo
l”autore, è in grado di consentirci di combattere davvero con
efficacia il ricorso alla guerra “come mezzo di risoluzione delle
controversie internazionali”; è pertanto, conclude la puntata, una
visione “da condividere, vivere e diffondere”.

Conclusione:
Il pacifismo di classe

Per
quanto avversata senza tregua dai poteri forti – e considerata
“troppo dogmatica” e “urtante” da molti Pacifisti 2.0 – la
visione
di
sinistra

e
classista
del pacifismo rosso rimane, dunque, proprio quella che più serve
oggi a chiunque cerchi di fermare il ricorso alle guerre “come
mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.

Infatti,
come abbiamo già visto, il “pacifismo di sinistra” classista
riesce a superare l”angusta visione pacifista della
Destra,
nera o rossobruna, che mira solo a difendere la “sovranità” di
questo o quel paese amico attaccato.

Certo,
le sovranità nazionali vanno senz”altro difese.

Ma
non come fortezze isolate o blocchi (la visione della Destra), bensì
come parti integranti di una unica comunità internazionale –
comunità da costruire, non sullo sfruttamento a cascata, bensì
sulla cooperazione tra pari e sulla valorizzazione delle differenze
(la visione della Sinistra di classe).

Inoltre
va ricordato che, per la Destra, “sovranità” sta per un
nazionalismo interclassista e autoritario che – come la storia
insegna – è fin troppo suscettibile di entrare in collisione con
altri nazionalismi e di provocare sempre nuove guerre.

In
secondo luogo, il “pacifismo di sinistra” classista riesce a
superare – pur condividendola – la visione “etico-sociale”
invocata da gran parte dello schieramento politico di
Centro
e di
Centro-Sinistra,
per spiegare il proprio ripudio delle guerre. Anzi, chi proclama la
visione “etico-sociale” della lotta pacifista pretende di essere
“sopra le parti”, quindi né di destra, né di sinistra:
aborrisce le parole “politicizzate”, come
imperialismo
e
sfruttamento;
preferisce parlare delle guerre come “follie disumane”.

La
“Generazione X” ha abbracciato questa visione durante gli
attutiti anni ”80 proprio per potersi distanziare dal pacifismo rosso
dei decenni precedenti (puntata 4).

Oggi,
dopo aver fatto per anni da spalla al pacifismo della sinistra di
classe, il pacifismo etico-sociale egemonizza, da protagonista
assoluto, il movimento pacifista italiano.

Nella
presente indagine viene chiamata, per ricordare l”avvicendamento, il
“Pacifismo 2.0”.

Quando
poi, oltre a depoliticizzarsi e a diventare egemone, si trasforma in
difensore delle “guerre umanitarie”, viene chiamata ironicamente
il “Pacifismo Armato”, quello dei Progressisti in Divisa.

Ha
– bisogna riconoscerlo – i suoi limiti.

Infatti,
nessuno eccepisce né può eccepire la visione “etico-sociale”
in
sé
:
le guerre sono senz”altro “follie disumane”, “atti
immorali”, “violazioni della legalità” e vanno ripudiate
anche
in quanto tali. Ma non vanno ripudiate
soltanto
in quanto tali. Perché i motivi etico-sociali, seppure i più alti,
sono i primi a passare in secondo piano nei momenti di gravi crisi.
Abbiamo visto come, in un baleno, l”attentato dell”11 settembre alle
Torri Gemelle abbia narcotizzato il senso etico-sociale degli
americani, consentendo all”amministrazione Bush jr. di compiere, in
loro nome, atti di imperialismo spudorati (l”invasione
illegale
dell”Afghanistan e l”invasione
truffaldina
e
criminale
dell”Iraq), per non parlare di tutti i crimini di guerra commessi
dalle truppe statunitensi ed alleate, crimini efferati e spesso
disgustosi. Davanti a tutto ciò la Destra americana, pur cristiana
e devota, ha sempre taciuto; anzi, ha sempre applaudito. Ma fa
ancora più riflettere il silenzio complice del resto della
popolazione americana, anche cristiana – persone civilissime,
generosissime e contrarissime alle “follie disumane”, agli “atti
immorali”, alle “violazioni della legalità”. Ma era come se
non sentissero più quei richiami.

I
valori etico-sociali, dunque, spesso non reggono. Vanno coltivati ma
non bastano. Per contrastare efficacemente le guerre, bisogna saper
parlare alle persone partendo anche dai loro interessi materiali.
Facendole riflettere sulla convenienza o meno di stare al gioco
piramidale dello sfruttamento a cascata, in cui ogni classe sociale
si avvantaggia di quelle inferiori. Siccome di fatto questo gioco
conviene solo a coloro che stanno più in alto, o a chi li serve e
tiene al suo
piatto
di lenticchie
,
molte persone, una volta fatte le debite riflessioni, si tireranno
fuori.

Queste
persone scopriranno poi, grazie alla prospettiva di classe acquisita,
il perché delle guerre che prima sembravano soltanto delle “follie
disumane”. Capiranno che la stra-ricchezza accumulata in Italia
dall”1% della popolazione non è soltanto a spese dell”99% (cioè, di
noi altri) ma è anche a spese del terzo mondo, poco industrializzato
perché sottomesso e depredato delle sue risorse – come nella
“nuova” Libia e nella “nuova” Costa d”Avorio, appena
ri-colonizzate dall”Occidente (ora tocca alla Siria e al Mali).

Queste
persone diranno di no ad
ogni
sfruttamento e quindi ad ogni guerra imperialista. Seguiranno più
da vicino la politica estera per verificare che il proprio paese non
stia facendo il prepotente nel mondo (o l”alleato dei prepotenti).

S”informeranno
e, quando servirà, si mobiliteranno. Rifiuteranno di essere come
l”ignara mogliettina del mafioso che preferisce non sapere da dove
provengono gli sporchi introiti del marito.

Il
“
pacifismo
di sinistra
”
classista

è dunque la comunità di tutte queste persone. Lotta contro le
guerre per porre fine allo sfruttamento di un paese su un altro,
proprio perché vuole porre fine allo sfruttamento di una classe
sociale su un”altra, anzi, di un essere umano su un altro. E questo
volere sa resistere alle crisi, anche gravi come quella
dell”11-9-2001, perché è radicato, in chi ce l”ha, nel proprio
essere materiale “gettato lì”: nel proprio modo di “porre se
stessi” esistenzialmente rispetto al mondo in cui si trova. (Il
che può benissimo incorporare anche una dimensione spirituale, un
modo di “porre se stessi” rispetto al trascendente.)

Dopo
gli attentati dell”11 settembre, gli unici americani ad opporsi
all”invasione e all”occupazione dell”Afghanistan, malgrado l”angoscia
che paralizzava l”intero paese, sono stati proprio quelli più
politicizzati, dichiaratamente antimperialisti. Hanno capito subito
che si trattava di un”aggressione coloniale per dominare il crocevia
degli oleodotti asiatici. (Prendere Bin Laden e i suoi non richiedeva
l”occupazione dell”
intero
Afghanistan e la strage dei Talebani.) Oggi, dopo una decade di
manganellate, di arresti, di multe e di incarcerazioni, questi stessi
americani antimperialisti continuano a scendere in piazza per esigere
il ritiro dell”ultimo soldato occidentale e la fine della guerra. La
componente femminile più estrosa di questi americani si chiama
Code
Pink
;
le sue aderenti praticano la guerriglia pacifista (azioni a sorpresa
in piccoli gruppi) – vedi q
uesto
video
che documenta i suoi dieci anni di protesta pacifista colorita:
bit.ly/link-123
 ☼ 
 ►
(breve attesa per scaricare la copia archiviata). Invece la protesta
pacifista tradizionale, con cortei anche imponenti, viene praticata
ancora – e con regolarità da oltre undici anni – dalla
coalizione antimperialista
Answer;
vedi:
bit.ly/link-124
 ☼ 
 ►
.

Ma
non si vedono più oggi nei cortei, o nei sit-in davanti alla Casa
Bianca, quegli americani che, dopo la paralisi iniziale provocata
dall”11 settembre in (quasi) l”intera popolazione, si erano
finalmente aggregati alle proteste antimperialiste, pungolati dalle
proprie convinzioni etico-sociali. O meglio, continuano sì a
scendere in piazza, per motivi etico-sociali, alcuni gruppi cristiani
(i cattolici “di base” in particolare) ed alcuni laici
consapevoli che le guerre locali possono diventare, in un batter
d”occhio, mondiali ed atomiche. Ma pochi. Di tutti gli altri, dopo
un anno o due di proteste, più nessuna traccia. Eppure le nostre
truppe in Afghanistan continuano a compiere “follie disumane”,
“atti immorali”, e “violazioni della legalità”.

Purtroppo
chi non abbia acquisito una coscienza di classe trova difficoltà a
resistere alla campagna di
disorientamento
ideologico

dei poteri forti, come quella descritta in quest”indagine, e al
logoramento
psicologico

svolto dalle istituzioni con i loro mezzi ordinari di controllo
sociale.

Depoliticizzato,
l”americano medio (ma anche l”italiano medio) non ha più una stella
polare che illumini scelte ed azioni quotidiane. Ha, certo, la sua
fede e le sue convinzioni etico-sociali; ma col tempo il lento
lavorio dei poteri forti fa effetto; i sensi gli si intorpidiscono;
si abbassa la vista; l”estero non viene nemmeno percepito: subentra
il disinteresse. Ed egli rischia allora – suo malgrado – di
acquisire la mentalità della “mogliettina del mafioso”, appena
ricordata, e di ripetersi sottovoce: “Meglio non sapere la
provenienza di tutte queste ricchezze che arrivano da fuori; meglio
non indagare sulle violazioni che possono essere state commesse per
procurarle; meglio chiudere un occhio, pensare ad altro ed
accontentarsi.” Se la coscienza etico-sociale soccombe talvolta
alle crisi, soccombe assai più frequentemente alla sciatteria.

Ma
non la coscienza di classe. Nello spingerci a combattere gli atti di
sfruttamento ovunque li intravediamo, essa mobilita e rinforza i
nostri principi etico-sociali. Di conseguenza, chi coltiva questi
principi anche in una dimensione spirituale, trova addirittura
rinforzata
questa sua visione trascendentale. Non è vero, dunque, che
l”anti-idealismo materialista alla base della coscienza di classe si
opponga al trascendente. Del resto, l”immateriale sfugge per
definizione ai contraddittori materialisti. Ciò al quale
l”anti-idealismo materialista si oppone è l”apparato ideologico
usato dal Potere
materiale
per giustificarsi. Squarcia di continuo il velo delle apparenze
pseudo-ideali
e retoriche di cui quel Potere si ammanta.

Così,
la coscienza di classe non ci lascia scampo. Non consentendo al
Potere di camuffare con la sua retorica i suoi atti di sfruttamento,
non ci consente di ignorarli. Ce li sbatte in faccia per quello che
sono, ovunque avvengano, di continuo. E così facendo, ci tiene
svegli.

Malgrado
gli attacchi subiti nel corso degli anni e gli svariati tentativi
messi in campo per arruolarlo o paralizzarlo, il
“pacifismo
di sinistra” classista
,
dunque, continua a resistere, ad alzare la testa e a proclamare la
sua diversità. E ad offrire una visione del pacifismo – senza
divisa ed internazionalista – da condividere, vivere e diffondere.

“I
peggiori crimini sono quelli commessi, non
da
chi infrange le regole
,
bensì
da
chi osserva le regole
.
Sono infatti le persone che eseguono gli ordini, a sganciare le
bombe e a sterminare interi villaggi.”

  • Banksy

A
breve sarà pubblicato l”e-book di Patrick Boylan

Puntate
precedenti:

*Patrick
Boylan
, ex docente
all”università Roma Tre, dove approdò dalla sua nativa California,
è entrato poi nella redazione di
PeaceLink.it
e ha co-fondato a Roma gli
Statunitensi
per la pace e la giustizia
e
la
Rete NoWar.
«Non è antiamericano contrastare le guerre imperialiste del mio
paese, anzi!» tiene a precisare. «Abbiamo esportato la democrazia
così tanto che ormai ce n”è rimasta ben poca. Salviamo almeno
quella!»

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